Bene, la serata e la degustazione di 6 birre del Birrificio Menaresta è andata alla grande. Ora viene il difficile, raccontarle.
Si tratta di un birrificio con appena 5 anni sul groppone, che ha cambiato corso poco più di un anno fa facendosi conoscere un po' di più ed un po' più lontano dalla sua Brianza, ed i risultati di questo cambio di marcia si stanno vedendo e stanno dando ragione a chi credeva in questo progetto, vale a dire Enrico Dosoli e Marco Valeriani.
A tal proposito è completissimo il video realizzato da Marco Tripisciano di Mondobirra.org con una bella intervista a questi due protagonisti. Prendetevi 20 minuti ed ascoltateli.
Dunque, parto dall'inizio ovviamente.
La prima in assaggio è la Bevera. Splendida birra da 4,2% alc. con caratteristiche aromatiche date subito dal luppolo Tettnanger. Un erbaceo delicatamente floreale, di gelsomino e fiori bianchi, che distingue sicuramente per fine eleganza il profilo. In bocca l'amaro si sente appena, ma ottimo è il corpo e grande la beverinità. Secca quanto basta e molto godibile.
Si continua con un altro esempio di beverinità eccellente, la San Dalmazzo. Naso davvero molto invitante, con qualche rotondità data dal lievito belga e poi un mix di luppoli senz'altro nobili ed un po' dei più agrumati americani. Si distinguono tutti ma il bouquet è omogeneo allo stesso tempo. Il vero capolavoro è sia l'equilibrio con il lievito belga utilizzato, a renderla fruttata oltre che floreale, ma anche la combinazione con un corpo snello e leggermente frumentoso. Ne consegue che il gomito assume un comportamento auto-adescante prelevando con soste brevi questo freschissimo nettare dal bicchiere. Davvero una bella birra da 5,2% alc.
Proseguiamo e qui si interrompono momentaneamente le foto per lasciare spazio alla condivisione ed al confronto. Stappiamo una Dirk, birra brown ale brassata con polpa di carruba. Al naso, sinceramente, la sento appena, ma è in bocca che si rivela meglio, soprattutto conferendo un amaro insolitom quasi da cacao, che esalta la parte posteriore della bocca, non dove e non come solitamente agisce il luppolo. L'ingrediente a sorpresa si riconosce dopo averne saputo l'esistenza, in altro modo non so se sarei riuscito a capirlo. In più forse è il concetto della polpa della carruba più che la carruba genericamente indicata mi ha creato alte aspettative legate anche all'armonia ed al corpo che poi in bocca non ho avvertito in questa birra da 5,5% alc. Nessun difetto percepibile, però, sto parlando solo di interpretazione ed uso degli ingredienti e della mia sensibilità ad essi.
La birra ai vertici della serata insieme alla San Dalmazzo, secondo me, è stata la Pan Negar. Stout brassata con aggiunta di avena ma soprattutto grano saraceno. Al naso già senti che lo stile c'è, emerge un'immagine di secchezza e tostatura difficilmente descrivibile ma molto facilmente inquadrabile, con un leggero ma avvertibile indizio di luppoli inglesi che diventano un tutt'uno con il resto. Birra di appena 3,8% alc., bassa per i palati italiani ma pienamente in regola con i canoni riconosciuti dall'altra parte della Manica.
In bocca dimostra di avere un bel caratterino, con una sensazione leggermente affumicata ma morbida e masticabile, caratteristiche difficilmente esaltabili con una birra dal basso grado alcolico ma che qui vengono fuori nettamente. Appagante, semplice e caffettosa quanto basta. Un ottimo bere sul serio.
Per ultime abbiamo lasciato i due cavalli di battaglia, le birre sulla bocca di tutti.
La prima è la 2 di Picche, black IPA che prende per la gola. Prima prende per il naso, inevitabilmente ti fa uscire con le mani in alto facendoti sentire circondato dal luppolo, senza trattative. In bocca si dimostra finalmente equilibrata, diversamente sobria rispetto ad altri esempi non italiani dello stile che tanto mi hanno fatto odiare questo tipo di birra. Ciò che sorprende è l'equilibrio e soprattutto la non troppo lunga persistenza dei luppoli in bocca a fine bevuta. Quell'attaccarsi al pinnacolo e non staccarsi più neppure con le cannonate non c'è, le lievi tostature fanno capolino ma abbastanza discretamente vanno via. Un equilibrio cercato e trovato che la snelliscono e la fanno scendere giù abbastanza facilmente.
Per finire altro bell'esempio di come Marco Valeriani, autore di queste ultime due creazioni, sia in grado di conciliare bilanciamento e carattere nelle birre. Il nuovo mostro sacro La Verguenza 22 (la cui storia del nome è raccontata nel video...seconda ed ultima chanche che vi do, guardatelo!!!) ha l'effetto di una macedonia estiva sparata nel naso, un mix di agrumi e fiori che è riuscito a ricreare con un largo numero di luppoli che conferiscono intensità ed i 90 IBU dichiarati. In bocca si mantiene snella anche lei, anche se il colore tutt'altro che pallido ed i caramellati (seppur alquanto leggeri) la vanno un po' ad irrobustire. Per essere un richiamo alle West Coast IPA ha reso l'idea. Farmene pinte su pinte, però, forse no.
Cosa dire di Menaresta? Sicuramente che il livello sul panorama italiano è tra il buono e l'alto, nessun problema di pulizia, nessun difetto particolare, un'ottima mano nell'equilibrare e far convivere sia ingredienti caratterizzanti sia lieviti con luppoli.
La stoffa si sente. Quando poi nel bicchiere trovi conferma delle tante chiacchiere, lusinghe e complimenti a proposito, ti riconcili con il mondo.
Complimenti!
Cheers!
Si tratta di un birrificio con appena 5 anni sul groppone, che ha cambiato corso poco più di un anno fa facendosi conoscere un po' di più ed un po' più lontano dalla sua Brianza, ed i risultati di questo cambio di marcia si stanno vedendo e stanno dando ragione a chi credeva in questo progetto, vale a dire Enrico Dosoli e Marco Valeriani.
A tal proposito è completissimo il video realizzato da Marco Tripisciano di Mondobirra.org con una bella intervista a questi due protagonisti. Prendetevi 20 minuti ed ascoltateli.
Dunque, parto dall'inizio ovviamente.
La prima in assaggio è la Bevera. Splendida birra da 4,2% alc. con caratteristiche aromatiche date subito dal luppolo Tettnanger. Un erbaceo delicatamente floreale, di gelsomino e fiori bianchi, che distingue sicuramente per fine eleganza il profilo. In bocca l'amaro si sente appena, ma ottimo è il corpo e grande la beverinità. Secca quanto basta e molto godibile.
Si continua con un altro esempio di beverinità eccellente, la San Dalmazzo. Naso davvero molto invitante, con qualche rotondità data dal lievito belga e poi un mix di luppoli senz'altro nobili ed un po' dei più agrumati americani. Si distinguono tutti ma il bouquet è omogeneo allo stesso tempo. Il vero capolavoro è sia l'equilibrio con il lievito belga utilizzato, a renderla fruttata oltre che floreale, ma anche la combinazione con un corpo snello e leggermente frumentoso. Ne consegue che il gomito assume un comportamento auto-adescante prelevando con soste brevi questo freschissimo nettare dal bicchiere. Davvero una bella birra da 5,2% alc.
Proseguiamo e qui si interrompono momentaneamente le foto per lasciare spazio alla condivisione ed al confronto. Stappiamo una Dirk, birra brown ale brassata con polpa di carruba. Al naso, sinceramente, la sento appena, ma è in bocca che si rivela meglio, soprattutto conferendo un amaro insolitom quasi da cacao, che esalta la parte posteriore della bocca, non dove e non come solitamente agisce il luppolo. L'ingrediente a sorpresa si riconosce dopo averne saputo l'esistenza, in altro modo non so se sarei riuscito a capirlo. In più forse è il concetto della polpa della carruba più che la carruba genericamente indicata mi ha creato alte aspettative legate anche all'armonia ed al corpo che poi in bocca non ho avvertito in questa birra da 5,5% alc. Nessun difetto percepibile, però, sto parlando solo di interpretazione ed uso degli ingredienti e della mia sensibilità ad essi.
La birra ai vertici della serata insieme alla San Dalmazzo, secondo me, è stata la Pan Negar. Stout brassata con aggiunta di avena ma soprattutto grano saraceno. Al naso già senti che lo stile c'è, emerge un'immagine di secchezza e tostatura difficilmente descrivibile ma molto facilmente inquadrabile, con un leggero ma avvertibile indizio di luppoli inglesi che diventano un tutt'uno con il resto. Birra di appena 3,8% alc., bassa per i palati italiani ma pienamente in regola con i canoni riconosciuti dall'altra parte della Manica.
In bocca dimostra di avere un bel caratterino, con una sensazione leggermente affumicata ma morbida e masticabile, caratteristiche difficilmente esaltabili con una birra dal basso grado alcolico ma che qui vengono fuori nettamente. Appagante, semplice e caffettosa quanto basta. Un ottimo bere sul serio.
Per ultime abbiamo lasciato i due cavalli di battaglia, le birre sulla bocca di tutti.
La prima è la 2 di Picche, black IPA che prende per la gola. Prima prende per il naso, inevitabilmente ti fa uscire con le mani in alto facendoti sentire circondato dal luppolo, senza trattative. In bocca si dimostra finalmente equilibrata, diversamente sobria rispetto ad altri esempi non italiani dello stile che tanto mi hanno fatto odiare questo tipo di birra. Ciò che sorprende è l'equilibrio e soprattutto la non troppo lunga persistenza dei luppoli in bocca a fine bevuta. Quell'attaccarsi al pinnacolo e non staccarsi più neppure con le cannonate non c'è, le lievi tostature fanno capolino ma abbastanza discretamente vanno via. Un equilibrio cercato e trovato che la snelliscono e la fanno scendere giù abbastanza facilmente.
Per finire altro bell'esempio di come Marco Valeriani, autore di queste ultime due creazioni, sia in grado di conciliare bilanciamento e carattere nelle birre. Il nuovo mostro sacro La Verguenza 22 (la cui storia del nome è raccontata nel video...seconda ed ultima chanche che vi do, guardatelo!!!) ha l'effetto di una macedonia estiva sparata nel naso, un mix di agrumi e fiori che è riuscito a ricreare con un largo numero di luppoli che conferiscono intensità ed i 90 IBU dichiarati. In bocca si mantiene snella anche lei, anche se il colore tutt'altro che pallido ed i caramellati (seppur alquanto leggeri) la vanno un po' ad irrobustire. Per essere un richiamo alle West Coast IPA ha reso l'idea. Farmene pinte su pinte, però, forse no.
Cosa dire di Menaresta? Sicuramente che il livello sul panorama italiano è tra il buono e l'alto, nessun problema di pulizia, nessun difetto particolare, un'ottima mano nell'equilibrare e far convivere sia ingredienti caratterizzanti sia lieviti con luppoli.
La stoffa si sente. Quando poi nel bicchiere trovi conferma delle tante chiacchiere, lusinghe e complimenti a proposito, ti riconcili con il mondo.
Complimenti!
Cheers!
Qualche giorno fa ho avuto modo di bere la Green Petrol. Ebbene, rifacendomi al severo punteggio col quale il Bayern ha ieri sera piegato il Barcellona, dico che 2 di Picche batte Green Petrol 4-0!
RispondiEliminaNon può essere altrimenti quando, anzichè ricercare l'equilibrio perfetto tra malti e luppoli, si sceglie insensatamente di esagerare nell'uso di questi ultimi, ottenendo come risultato una luppolatura arrogante e maleducata che va a pregiudicare la bevuta.
Mi ha notevolmente impressionato la splendida San Dalmazzo, soprattutto per le bellissime note speziate regalate dal lievito.
Ma, com'è ovvio, queste sono solo le impressioni di un "se-dicente" appassionato :)