Pilsen e le sue birre tra problematiche, abitudini e abilità alle spine: da Plzeňský Prazdroj a Zlatá Kráva e Purkmistr

Un viaggio nella regione di Plzen (Plzeňský kraj) dà bene l'idea di quanto la tradizione birraria sia qui più un traino economico e industriale che un mero settore alternativo come invece quello della birra è inteso in Italia.  È interessante anche per approfondire aspetti della birra ceca che in giro per Praga rischiano di risultare più pittoreschi che autentici e che meno danno l'idea di alcuni ambiti come la spillatura, gli usi comuni, i costi e la diffusione della birra.

Come nella vicinissima Franconia, qui tutti i paesi e villaggi hanno birrifici al loro interno o nelle aree urbane. Lo scenario è da intendere in maniera un po' differente da quello francone, in quanto qui il birrificio di medie dimensioni è molto più comune di quanto si possa pensare e campeggiano ovunque cartelloni pubblicitari, indicazioni stradali o segnaletiche varie di stabilimenti, lattine, PET e tutto un contorno comunicativo.

Una delle tappe di riavvicinamento a Plzen durante l'ultimo viaggio in Cechia (dedicato soprattutto a Praga, ma non solo) è stato il birrificio Zlatá Kráva nel villaggio di Nepomuk, appena 3000 anime ma con un birrificio nella piazza principale. Poco spazio esterno ma enormi spazi all'interno per il locale di mescita, distribuito su più livelli, così come lo è il birrificio. Nasce appena nel 2018, a dimostrazione di quanto sia in atto un'ondata lenta ma inesorabile di nuovi birrifici in tutti gli angoli della Repubblica Ceca, in seguito alla ripartenza economica e sociale seguita alla fine del comunismo nei primi anni '90. Territori come questo che si riappropriano di un tessuto produttivo, in questo caso per via di un'azienda che gestendo allevamenti bovini di Angus ha deciso di mettersi anche a produrre birra.


Il birrificio è, come tanti, strutturato con impianto in rame e in produzione c'è una birraia, Žaneta Petružálková, in un piccolo angolo a vista della taverna interna. Mi raccontano che la fermentazione è, come nella quasi totalità dei casi in Repubblica ceca, al piano inferiore. Qui mi mostrano le enormi vasche aperte, quasi indistinguibili tra quei parallelepipedi d'acciaio vicini tra loro, ma sollevando il coperchio eccolo lo schiumone del lievito nei primi giorni di fermentazione. Visione celestiale, sempre affascinante, tra l'altro affermano che prelevano il lievito direttamente dalla...Plzeňský Prazdroj.
Sì, l'impianto produttivo della Pilsner Urquell ha anche questo business di recupero e vendita delle enormi quantità di lievito spurgato dalla fermentazione della propria birra e questo per il territorio significa molto in termini di reperibilità e freschezza.


Beviamo la světlý ležák della casa, chiamata 12 Plnotučná, maltata come ci si aspetta e con un bel naso leggermente pepato e floreale. Mi parlano di questa come il pilastro del birrificio, facendoci anche qualche esempio di come funziona economicamente la gestione di un birrificio come il loro. Molti qui hanno anche posti letto, dato che con i quantitativi di birra bevuta, soffermarsi un paio di giorni e approfittare delle bellezze paesaggio è una delle attività preferite dai cechi. Qui ci sono 19 camere per gli ospiti e ognuna di queste ha, comprese nella tariffa, uno spillatore in camera con 5L di birra inclusa da bere in qualsiasi momento della giornata, senza contare quella che si beve a pranzo o cena nella taverna. E questa birra è proprio la 12, che quindi costituisce il 70% della produzione del birrificio che in totale è di circa 3000 hl/anno.


In termini di costi spiegano che, parlando in termini di corone ceche Kč (25 Kč = 1 € circa), calcolando tutto su un boccale da 0,5 L, 5 Kč sono i costi delle materie prime, 7 Kč il costo della distribuzione e 7 Kč il costo del personale interno: in totale fa circa 19 Kč, che per tasse e altro finisce a 24 Kč che è il costo di produzione della birra. Al pubblico, quindi, viene fuori a 50-60 Kč, sarebbero poco più di 4 €/L. Per i cechi è un costo che purtroppo è in aumento rispetto al passato, così come i costi italiani lo sono rispetto a qualche anno fa.

Per cui acquistare dalla Cechia può essere conveniente ora così come poteva esserlo prima e lo dico contro chi sostiene che questi birrifici stiano erodendo quote di mercato ai birrifici dell'Europa occidentale: se hanno birra a costo inferiore ora, lo avevano anche prima, semplicemente ora si volge lo sguardo ad est, cosa che prima non si faceva per nulla, ma la birra e i suoi costi non hanno molto a che fare con questo.
In Cechia i birrifici nuovi nascono con ritmo di 1 a settimana, contrariamente all'ondata negativa di chiusure che, per esempio, si osserva in UK, nonostante il craft puro, fatto di IPA e sour, qui costituisce circa il 5% del mercato, per loro ammissione.
Anche le accise sono diverse: 3 Kč / hL / Plato per i birrifici industriali, 16 Kč / hL / Plato per i craft. Questo nel 2023, mentre nel 2024 ci sono stati aumenti ulteriori, non sulle accise bensì sull'IVA applicata alla birra, mal digerito da tutta la popolazione, per cui le polemiche di cui sopra non hanno senso: il costo della birra in questi anni è aumentato ovunque. 


Parlare di Plzen senza nominare la Urquell è impossibile. Impossibile è stato non tornare a visitare la fabbrica Plzeňský Prazdroj, un quartiere intero che ormai è attrezzatissimo per le visite turistiche, ancor più che in passato. Al di là delle aree più ludiche e dimostrative, osservare i calderoni in rame antichi e quelli modernissimi in acciaio dà l'idea della grandezza industriale di questa realtà, seppur governata da un team di tecnici alle spalle di una vetrata che monitorano tutto in remoto (infatti la sala cotte sarebbe sempre deserta se non ci fosse la gente dei tour), lasciando linda e pulita tutta l'area di produzione del mosto. Fa un po' strano, ma è abbastanza comprensibile anche che nel 2024 la gestione funzioni così.


Ho potuto osservare anche il piccolo impiantino sperimentale, che a detta della guida al tour era destinato alle produzioni di esperimenti e piccole cotte. Dovrebbe trattarsi di uno specchietto per allodole che rimanda ad un altro vero progetto satellite, ovvero il birrificio Proud, situato nella ex centrale elettrica situata all'interno del plesso di Plzeňský Prazdroj, rimessa a nuovo per questo il birrificio si è inserita nel mercato crafty. Il termine non solo è facilmente traducibile in inglese con la parola "orgoglioso", ma è anche una parola ceca che significa "corrente, flusso".


Poco importa, perchè nel 2024 il progetto nato nel 2020 Elektrárna, appunto in onore del luogo. Alcune birre continueranno ad esistere come Proud, altre come Elektrárna, non è chiarissimo, ma questi due brand promettono sicuramente guerra ai nuovi craft cechi di successo, dato che non c'è alcuna guerra tra grandi e piccoli e il consumatore qui non bada minimamente a un dibattito su questo aspetto. Proprio la disponibilità di materie prime a buone condizioni (malti, luppoli e i su citati lieviti) spiega già quanto questo potenziale fosse facile incanalarlo in un progetto del genere, alla luce delle richieste del mercato.

Tornando alla Urquell, ci sono sempre i soliti enigmi: la birra Pilsner Urquell Nefiltrovaný bevuta in giro è mediocre, bevuta a U Zlatého Tygra a Praga e al locale più vicino fuori dal birrificio Na Parkànu è molto buona, mentre è stupefacente bevuta nella cantina durante il tour guidato ed è pessima al ristorante Na Spilce interno alla fabbrica. Al di là del discorso pastorizzazione e filtrazione, che differenzia le bevute di Na Parkànu e U Zlatého Tygra dal resto dei pub cechi, è emblematico come la birra bevuta nelle cantine rispetto a quella bevuta al ristorante del birrificio siano totalmente diverse.


 Nello specifico, al Na Spilce il diacetile è fortissimo, impossibile da non avvertire e rende davvero difficile la bevuta. Le ipotesi sono tante:

  • difetto non avvertito dallo staff
  • difetto voluto proprio per continuare la narrazione del diacetile come elemento distintivo ceco
  • contaminazione non avvertita in produzione (da escludere visti i controlli)
  • contaminazione alle spine (improbabile, visto il ritmo esagerato con cui si spilla)
  • difetto che torna a manifestarsi per ossidazione del suo precursore.

È uno degli argomenti che ho voluto inserire, insieme all'amico e co-autore Paolo Crovace, nel libro Birra a Praga (link qui), perchè spesso associato alle birre ceche. Mi sono fatto aiutare nell'approfondire l'argomento da Francesco Antonelli, dal quale focus pubblico un estratto evidenziando in grassetto quella che, chiacchierando, è sembrata una delle possibili cause:

"Il diacetile è un composto che viene prodotto da tutti i lieviti durante la fermentazione (insieme al pentanedione, dall’aroma simile). Si trova nel percorso metabolico che porta alla formazione di alcuni amminoacidi, essenziali per il metabolismo delle cellule di lievito. Il lievito “monta” gli amminoacidi partendo dai costituenti essenziali presenti nel mosto, combinandoli con altri composti che produce all’interno della cellula tramite la glicolisi, ovvero consumando lo zucchero presente nel mosto. Una sostanza, in particolare, è responsabile della formazione di diacetile: l’acetolattato. Viene prodotto all’interno delle cellule durante la fermentazione, per poi essere utilizzato dal lievito per comporre alcuni aminoacidi. Una quota di acetolattato, per varie ragioni, fuoriesce di tanto in tanto dalla cellula per finire nella birra. Di per sé questo non rappresenterebbe un grande problema poiché l’acetolattato non apporta aromi percepibili. Tuttavia, durante la sua permanenza all’esterno della cellula, l’acetolattato subisce una trasformazione ossidativa che lo converte in diacetile, il quale ha una soglia di percezione decisamente più bassa (parliamo di circa 100-200 parti per miliardo). La trasformazione dell’acetolattato in diacetile avviene continuamente durante la fermentazione, ma per fortuna a un certo punto il diacetile rientra nella cellula di lievito dove viene convertito in altri composti (per la maggior parte butanediolo) con soglie di percezione molto più alte. Insomma, in condizioni di fermentazione standard il diacetile appare e poi scompare dalla birra. Spesso a una velocità tale da non arrivare mai oltre la soglia di percezione.
Una prima ragione per cui lo si trova più spesso nelle birre a bassa fermentazione è proprio la velocità con cui avviene la fermentazione stessa. Nelle basse fermentazioni, il metabolismo del lievito è rallentato, quindi viene di conseguenza rallentato anche il riassorbimento del diacetile. Se la fermentazione non è correttamente gestita, le cellule non hanno tempo di riassorbire il diacetile che si accumula nella birra fino a superare la soglia di percezione. Per scongiurare questo rischio, molti birrai si affidano alla cosiddetta “pausa diacetile” che consiste nell’alzare di qualche grado la temperatura verso la fine della fermentazione, per accelerare l’attività metabolica del lievito e il riassorbimento del diacetile.


C’è anche da considerare che ogni ceppo di lievito porta con sé un diverso corredo genetico: alcuni ceppi sono più portati alla produzione di acetolattato durante la fermentazione, e quindi a una maggiore produzione di diacetile. È il caso di alcuni ceppi inglesi, che nonostante vengano gestiti a temperature di fermentazione più alte rispetto alle birre lager, possono lasciare quantità significative di diacetile a fine fermentazione. È compito del birraio (ed eventualmente di un panel di assaggio apposito) assaggiare la birra e decidere se il riassorbimento del diacetile è completo oppure se sia opportuno attendere ancora. Tuttavia, a volte un assaggio a fine fermentazione non è sufficiente per mettersi al riparo dal diacetile.
Può capitare infatti che nella birra sia rimasto acetolattato residuo, di per sé inodore. La pastorizzazione, grazie al calore, può bloccare l’attività del lievito in bottiglia ma può favorire la trasformazione dell’acetolattato in diacetile grazie al calore applicato. Purtroppo, in assenza di lievito attivo, il diacetile prodotto in questo modo non potrà più essere riassorbito e rimarrà nella bottiglia o fusto. Qualcosa di simile avviene nei cask di birra inglesi, da cui la birra viene spillata tramite un meccanismo a pompa che tira via la birra lasciando entrare aria nel fusto. L’ingresso di aria (e quindi di ossigeno) durante la spillatura favorisce l’ossidazione dell’acetolattato trasformandolo in diacetile; l’assenza di lievito, spesso rimosso con additivi come la colla di pesce per rendere la birra limpida, ne impedisce il riassorbimento. Ecco che il diacetile fa la sua comparsa a sorpresa nel bicchiere dei consumatori, a insaputa del birraio. Per ovviare a questo rischio esistono tecniche di misura dei precursori del diacetile, sia quantitative che qualitative, prima che la birra venga confezionata. Nel caso siano presenti precursori (tra cui l’acetolattato) in quantità significative, si attende qualche giorno con il lievito ancora attivo prima di passare all’infustamemto o al confezionamento. Nelle birre rifermentate si corre meno questo rischio, perché la rifermentazione con il lievito attivo tende a riassorbire eventuale diacetile che si dovesse riformare in bottiglia o in fusto.
Ma non finisce qui. Se il lievito è in grado di produrre e riassorbire il diacetile, diversi batteri sono in grado solo di produrlo, ma non di riassorbirlo. Quando lavorano in simbiosi con il lievito, come ad esempio nei Lambic del Belgio, il problema non si pone: sarà il lievito a fare da “spazzino” per il diacetile nel corso della fermentazione. Ma se batteri come i Pediococchi si insinuano nelle linee di spillatura di un pub, in pochi giorni possono produrre quantità significative di diacetile che finiranno nei boccali spillati al bancone. Il consumatore, ignaro di tutto ciò, attribuirà la colpa di questo fastidioso aroma burroso al birraio. Mentre la vera colpa è del publican che non ha avuto sufficiente cura del proprio impianto. Questo è un caso ahimè molto frequente, forse una delle principali cause del diacetile nelle birre che assaggiamo al pub, specialmente quando si frequentano locali gestiti da personale non qualificato o con scarso interesse alla qualità del prodotto servito.
"

Non penso serva aggiungere altro, se non che le stesse ossidazioni a lungo andare tra le connessioni che vanno dai tank di spillatura alle spine possono innescare questo processo che, se non troncato, può peggiorare di giorno in giorno l'effetto finale. Di qui la pessima bevuta al ristorante interno al birrificio Na Spilce, di cui ovviamente nessun gruppo di visitatori e turisti pareva si fossero accorti, abbagliati dal brand e dalle diverse spillature ceche, su cui torniamo tra poco.

Restando in zona Plzen, nella periferia della città e in particolare nel villaggio di Černice c'è il brewpub Purkmistr di cui voglio parlare. Si tratta di una struttura composta da un atrio e diverse aree, tra cui si suddivide l'attività: birrificio con impianto a vista a posti a sedere, altre sale con banconi indipendenti, area pernottamento e beer spa. Ho provato anche quest'ultima esperienza, con vasca di acqua bollente e birra gelida spillabile senza sosta da uno spillatore personale per ognuno che scelga questa esperienza, ma dico subito che non ne vale molto la pena, anche se è una abitudine alquanto consolidata dei cechi da qualche anno.

Da Purkmistr un bell'impianto a vista e i due piani di birreria offrono una varietà di birre che va dalle classiche e ben realizzate ceche Světlý ležák, Polotmavý ležák e Tmavý ležák, fino a qualche interpretazione da manuale di weizenbock, weizen, rauch e qualche immancabile IPA. Tutte birre ben fatte davvero, soprattutto nella Světlý ležák e Tmavý ležák che non avevano nulla da invidiare alle migliori interpretazioni in termini di precisione stilistica, pur senza eccedere in alcun aspetto particolare.


Non viene esplicitamente spiegato quando la produzione è stata riavviata, dato che esisteva prima delle chiusure dovute all'accentramento produttivo sotto l'era del comunismo, ma qui è stato davvero complicato riaprire vecchi birrifici proprio perché l'ombra minacciosa di Plzeňský Prazdroj di birra tipica della città monopolizzava, prima e ancora oggi, i consumi e le abitudini dei bevitori.
Qui ho avuto anche modo di cimentarmi nella spillatura con il side-pull fawcett, il rubinetto tipico con azionamento orizzontale invece che verticale e con diverse dinamiche legate a pressioni, tempi, angolo di inclinazione e prossimità del beccuccio al vetro interno del boccale.
Vediamo di fare chiarezza, prendendo ancora un estratto dal capitolo "Bicchieri e mescita" del nostro Birra a Praga:

"La spillatura di una birra ceca è tradizionalmente l’opposto di quella a tre tempi tedesca. Non è affatto una spillatura lenta e con tutti i crismi del tempo, ma richiede molta abilità in quanto il side-pull faucet spesso è senza alcun controllo di flusso (per cui senza compensatore o freno) e la angolazione di apertura e l'inclinazione del bicchiere sono gli unici aspetti a fare la differenza. Un detto ceco recita: “Sládek pivo vaří, ale hostinský ho dělá”, ovvero “il birraio produce la birra ma il publican la crea”, espressione che la dice lunga sull’importanza della spillatura nella cultura ceca. Una buona pratica che si attribuisce storicamente alla passione e alla professionalità di un certo Karel Hulata, figura emblematica in quanto publican di U Zlatého Tygra dal 1976 al 2014.
Generalmente, la maggior parte delle birre sono spillate con il metodo hladinka: si ruota la leva della spina di 45° formando un primo strato di schiuma e successivamente si immerge il beccuccio al di sotto della schiuma per inserire birra fino a che la schiuma arriva all’orlo. In questo modo, in un unico tempo di spillatura, si riempie per intero il boccale, anche facendo scorrere un po’ di schiuma in eccesso, mentre la restante si trasformerà in birra in buona parte in birra, essendo molto compatta. Si tratta di una schiuma compattissima (spesso descritta come “wet foam”), con bollicine quasi impercettibili anche alla vista e che non ha nulla a che fare con le schiume soffici, alte e quasi sferiche delle spillature alla belga o alla tedesca. È il metodo di servizio più diffuso, più tradizionale, che enfatizza soprattutto la dolcezza maltata e gli aromi del luppolo.

Le altre due varianti principali in realtà non sono delle vere e proprie modalità di servizio, ma più delle eccezioni. Una è la šnyt ed è sostanzialmente un vezzo, un capriccio, un assaggio finale che il bevitore si concede prima di tornare a casa per evitare un ulteriore boccale intero e per assaporare ancora un altro po’ il gusto della sua birra. Sempre ruotando la leva a 45°, si fa generare un po’ di schiuma immergendo poi il beccuccio al di sotto per inserire birra, ma senza arrivare all’orlo. Si tratta di un diversivo più che di un metodo di spillatura, noto anche in Baviera con il nome di schnitt, anche se con bicchiere e relativa spillatura decisamente diversi.

Infine, la modalità forse più estrema si chiama mlíko, e consiste nella sola formazione di schiuma sempre con l’apertura a 45° e senza inserimento di birra al di sotto del livello, ma continuando a farne formare con beccuccio al di sopra. È un servizio più coreografico che funzionale a degustare una birra, meno ancora a berla, ed è delle tre quella più ludica. "

Queste ultime considerazioni, a dire il vero, sono anche supportate da diversi operatori del settore, per cui sarebbe sufficiente concentrarsi su una spillatura hladinka, a patto di avere la giusta birra e il giusto rubinetto..
Avere un side-pull fawcett è la norma per gli impianti cechi. Fusti E tankovè (tank di 250 o 500 L collegati alle spine, una sorta di fusti giganti che durano l'arco di un paio di giorni, di cui consiglio questo approfondimento) sono spesso piazzati a pressioni più elevate del solito, forzando la birra a fluire molto più velocemente e a formare schiuma nel bicchiere a causa della forte caduta di pressione e del passaggio dell'anidride carbonica dallo stato liquido (disciolta nella birra) a quello solido. Parliamo di pressioni nell'ordine di 2,8 bar, non elevatissima ma quel tanto che basta a innescare questo fenomeno.

Mi sono cimentato nella spillatura hladinka e ci vuole, in effetti, una certa manualità per chi è abituato con classici rubinetti. Alcuni prodotti della LUKR, azienda leader, sono ora dotati anche di freno e quindi permettono anche di correggere qualche errore. 


Ci sono diversi contributi video educativi che si possono trovare su Youtube, di cui vorrei segnalare

  • quello di Kegworks (qui),
  • una super lezione di spillatura da parte di Evan Rail (qui)
  • un video completo con questi e altri concetti è quello di The Malt Miller, che ha realizzato diversi speciali sul tema (link qui) supportati da Budvar (stranamente non Pilsner Urquell),
  • un video simile ma realizzato da The Craft Beer Channel (qui).
In realtà Budvar rispetto a Pilsner Urquell contempla anche la spillatura a due step, quasi un mix con la spillatura tedesca, che in ceco prende il nome di nadvakrát e che ho sperimentato in pochissimi posti, come Heřman.


In Italia pochissimi hanno il side-pull fawcett e ora sta comparendo di tanto in tanto in qualche locale. Ma sono dell'idea che vada usato effettivamente come fanno i cechi, formando lo schiumone di cui parlavamo e immergendo il rubinetto nel půllitr (boccale ceco da 30cl) e successivamente pulirlo a fine serata in modo adeguato. La paura di non immergerlo non farà di quella una birra spillata alla ceca, ma una come tutte le altre.
Che io sappia, ci sono side-pull fawcett al Tabir in Puglia, al Amadeus in Veneto, mentre in Lombardia  allo Yankee e alle spine della taproom di Alder e sicuramente in tanti altri posti di cui però non ho traccia.

Negli USA sono ormai diversi i birrifici che oltre a riprodurre ceche (a loro dire) molto aderenti agli originali, si sono dotati di side-pull fawcett, tank e bicchieri appositi. Basta nominare Notch, Dovetail, Sacred Profane, Goldfinger per parlare dei più attivi. Qualcuno ha addirittura frequentato la scuola di spillatura ceca, ospitata al U Červeném Jelenovi, ristorante e accademia di formazione, connessa con le scuole di spillatura di Pilsner Urquell. 

Insomma, dal sistema Urquell non se ne esce quasi mai, ma in compenso si può imparare quel che di buono sa dare per scoprire i meandri della cultura birraria ceca.

Infine, volevo appunto spendere qualche parola sulla scena birraria a Plzen. È ovviamente una città che ruota tutta intorno alla sua birra industriale ed il confronto con Dublino e Guinness viene immediato. A differenza della capitale irlandese, però, in Cechia ci sono una miriade di piccoli e medi birrifici che producono una tipologia simile di birra (mentre in Irlanda non ci sono tantissimi birrifici che hanno come core beer una stout), per cui il fenomeno che si viene a creare ed evidenziare proprio a Plzen è che se voglio una světlý ležák che senso ha andare a prendersi un'altra birra simile che costa il doppio? Per questo motivo, produrre světlý ležák a Plzen è alquanto controproducente. Me lo conferma anche Ryan Mowbray, amico americano conosciuto in occasione di un giro anni fa a Windischeschenbach e che vive a Plzen collaborando con il birrificio Raven.


Oltre al Francis e al Na Parkànu, visitati già qualche anno quando sono stato qui la scorsa volta, mi concentro in un'altra zona dove ci sono un paio di locali molto frequentati. Il primo è Lokál Pod Divadlem, uno dei locali Lokál diffusissimi in tutta la Cechia, tutti con questi nomi, fondati da Lukas Svoboda. Atmosfera molto informale, pub industrial e rustico con scelta ristretta alle spine ma tank di spillatura e abitudini tutte locali, come la řezané che vedo qui per la prima volta e servita a molta gente. Si tratta di una sorta di un mix di birre che per effetto di una diversa densità (quindi di un diverso residuo zuccherino) non riescono a mescersi, tenendosi l'usa separata dall'altra e creando un effetto cromatico molto affascinante. Il perché è semplice: in questo modo, con due mezze birre diverse in un unico boccale, si riesca a bere prima una e poi l'altra invece che ordinare due mezzi boccali. Tutto qua, può sembrare bizzarro e infatti lo è ma spesso così sono le tradizioni. Le birre con cui qui viene realizzata una řezané sono Pilsner UrquellKozel Černý, tra l'altro decentemente buona bevuta anche in purezza. A volte è la scura a essere spillata prima e stare sul fondo, essendo la più densa, ma nella maggior parte dei casi si fa al contrario e non credo ci sia un motivo specifico.

A volte alle spine dell'ingresso laterale di Lokàl vengono inserite birre totalmente diverse da quelle della tradizione, ospitando luppolate, birre alla frutta ecc. Altro locale in zona è appena dietro l'angolo, infatti, e anche questo si distingue per un'offerta così. Si chiama Pivstro e guardando le spine sembra proprio di essere altrove e non nella capitale delle pils nel mondo. Prendiamo due ottime birre, APA e IPA e le trovo molto migliorate rispetto a quelle che ho bevuto in giro per Praga anni fa, al di là dei nomi sembra ci sia una maggiore attenzione verso la scena internazionale, complice l'apporto di birrai moderni che hanno cominciato a viaggiare e a portare anche qui una ventata di internazionalità. Che sia un bene per i consumi e le mode o un male per la tradizione è difficile dirlo, ma sta di fatto che qualcosa è sicuramente cambiato.

Fare questo altro salto a Plzen poteva inizialmente sembrare superfluo ma non lo è assolutamente stato: ho avuto modo di rendermi maggiormente conto di quanto qui si avverta il contrasto tra la voglia di novità e l'attaccamento al presente.
I birrifici craft qui subiscono l'ombra del gigante della città in maniera tanto evidente da polarizzarsi tra le classiche lager e le novità più estreme. È una realtà diversa da quella italiana ma anche da quella tedesca e meritava di essere raccontata.

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