The complete joy of RE-homebrewing

Mesi, attese, ansie e soddisfazioni per circa un anno sono mancate.
Non ho potuto fare cotte per tutto questo tempo e tutto è sembrato quasi svanire, nella speranza di liberarsi presto da impegni di maggiore importanza e di tornare a ritagliarsi del tempo per fare quello che piace.
Stare un anno senza praticare l'homebrewing non è stato facile.

Prima l'estate, torrida e crudele senza le tue birre, senza poter caricare qualche bottiglia in frigo e stapparla nel bel mezzo di un afoso pomeriggio, senza poterne notare i suoi progressi piuttosto che il suo inevitabile calo a mesi di distanza dalla produzione, senza poter immaginare il prossimo aggiustamento sulla ricetta. Il piacere del gusto e l'annientamento della sete hanno lasciato il posto alle sole fantasia e creatività ed alla voglia di poterle trasformare in progetti liquidi. 
Voglia che semplicemente si trascina, si prolunga, si distende e si tende come molla attraverso le altre stagioni, ancora ed ancora.

Qualche cotta presso amici allevia la medicina e serve a coltivare ancora l'interesse e tenere allenato il polso, ma il desiderio di armeggiare solo con le tue pentole è troppo potente, non basta neppure l'amico più accogliente a cancellarlo. 

Quando poi magicamente cambia tutto, o meglio, quando l'impegno viene ripagato dai risultati e gli ostacoli si dissolvono, allora ti accorgi di quanto tempo è passato ma anche di quanto ancora viva è questa passione. Passione: una parola di cui le pratiche commerciali e promozionali hanno abusato ma che non può essere strappata da un popolo di strenui hobbisti che ne fanno un motore per le proprie pazzie, per le proprie dedizioni, tra colpi di testa e studi meticolosi. 


Passione che riscopri quando riprendi quel malto tra le mani e ci giochi con le dita come fosse acqua di sorgente, quando metti gas sotto le pentole e vedi salire la lancetta della temperatura e capisci che quegli zuccheri saranno sotto il tuo controllo e ne farai quel che vuoi. Vedi l'acqua cambiare colore ed intorbidirsi, provocare una schiumetta che ricordi ma che è sempre una sorpresa vedere svanire piano per far spazio ad un mosto sempre più zuccherino, appiccicato alle mani quasi come tornasse ad abbracciarti. Quella pratica che ti è sembrata inafferrabile e persa torna a possederti, ed è come se non ne avessi mai sentito la mancanza: è come non si fosse mai interrotta.
La pace del luogo in cui faccio birra è dettata dai bucolici canti degli uccelli e dallo splendente riflesso dei raggi del sole sulla facce opache delle foglie d'ulivo. Il caldo e la fatica diventano secondari quando non rimangono che scheletri di trebbie esausti ed un pentolone intorno al quale ronzano gli insetti più impossibili. Li intimorisci e li scacci a difesa del succo della figlia della spiga di grano. 

Sobbollire ed infondere diventano più importanti del nutrirsi, in testa c'è solo la voglia di restituire a quel pezzo di plastica bianco e cavo qualcosa con cui giocare e fare pernacchie profumate.
Quando il circo si smonta e l'ultimo attrezzo è ripulito, quel liquido lo senti al sicuro e pieno di potenzialità. È l'ebrezza della prospettiva, della possibilità e della potenzialità che ti gonfia il cuore. 

Ti fermi, ti siedi e con un sospiro ti compiaci, perchè giocare a fare il birraio seriamente ma senza poterlo essere è un'attività che ti nobilita, ti esalta e ti modella, tra la fatica dell'intelletto ed il sudore della fronte.
Nulla che poi non possa risolversi e dispiegarsi in quell'ultimo atto che sa molto più di quello che una ignorante papilla può avvertire.


È un epilogo e sarà un nuovo inizio
È la gioia completa del tornare a far birra.
Cheers!

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