Fosse stata più esaltante, non avrei avuto alcuna esitazione nel raccontare di questa esperienza nella capitale magiara. Invece più di una volta stavo per desistere, ma un insano e masochistico dovere di cronaca mi porta a spendere un po' di tempo per spiegarne almeno i motivi.
Budapest come città mi ha entusiasmato, letteralmente, sconvolgendomi al primo sguardo.
Viste mozzafiato e scenari unici, simili a nessun'altra capitale europea.
La storia tormentata, dagli apici asburgici al baratro comunista, ha lasciato capolavori ma anche orrori. Di riflesso, cultura e radici vengono a dimenticarsi e mescolarsi con la modernità.
È questo lo scenario che si presenta anche per un beer hunter.
Non vi è traccia del passato, nè remoto nè prossimo, ad eccezione di qualche strascico commerciale alquanto prevedibile.
Infatti devo confessare di aver bevuto una birra del marchio Dreher. Prima di partire pensavo fosse lo stesso gruppo dell'omonima birra italiana, semplicemente con una veste diversa per aggredire diversi mercati. Ma scopro che in Italia Dreher è controllata da Heineken Italia, mentre in Ungheria questo birrificio Dreher Sörgyár è di proprietà di SABMiller.
Si chiama Dreher Bak e non è affatto malaccio, molto appetibile con la cremosità di una schiuma color crema ed un corpo vellutato, tendendo ad interpretazioni di dunkel muscolose che strizzano l'occhio anche verso quelle birre ceche, come la celebre U Fleku, per esempio.
Certo, la bottiglia non è indice di nulla di buono, ma la birra ha sconfessato questa impressione.
Tra tutti i locali segnati in agenda, la maggior parte di essi era situata nel cosiddetto Quartiere ebraico, dove ancora troneggia la sinagoga più grande d'Europa.
In questa zona le strade si fanno vicoli, le luci fioche e l'aria è decisamente fresca e giovanile.
Ho visitato un paio di cosiddetti ruin pub, di cui lo Szimpla Kert è il più grande, curioso e rinomato. Come racconta il sito travelstales.it, sono pub realizzati all’interno di palazzi e spazi abbandonati. L’idea era nata inizialmente dall’occupazione (più o meno illegale) di questi locali da parte di gruppi di giovani che decisero prima di occuparli e poi riqualificarli con oggetti e materiali riciclati e stravaganze varie creando così dei luoghi che col passare degli anni sono diventati dei veri e propri simboli della città e della sua rinascita.
Lo Szimpla Kert è stato il primo ruin pub di Budapest, e per questo ritenuto il più famoso e il più frequentato. Realizzato all’interno di una fabbrica abbandonata, lo Szimpla Kert è uno dei tanti, circa venti, sparsi per la città.
Alla voce birra, purtroppo, non ho trovato alcun motivo di interesse, per cui ho preferito continuare il mio vagare tra altri ruin pub, alcuni davvero singolari (in uno, per esempio, intorno al tavolo si poteva stare comodamente in amaca...).
Sempre in questo quartiere, riesco a trovare uno dei locali segnati, vale a dire il Léhűtő.
Mi aspettavo dimensioni maggiori, ma si tratta di un piccolo locale interrato, con qualche tavolo anche all'esterno, con sei vie alla spina ed un paio di frigoriferi assortiti, gestiti da due ragazzi.
Il classico lavagnone contiene una sfilza di birre ungheresi, quasi tutte in bottiglia, con innesti dall'estero, principalmente dalla Germania e dalla vicina Slovacchia.
Difficile destreggiarsi tra nomi mai sentiti, e così è spontaneo chiedere informazioni, insieme alle quali ricevo anche degli assaggi. Provo la APA & Fia di Hatodik íz ed è la solita spremuta di luppolo tutt'altro che fresca, così come la Chopper IPA di Kaltenecker Pivovar. Altri assaggi di quelli in tap list mi convicono pochissimo, ed è il caso anche della Zip's Pilsner dell'omonimo Zip's Brewhouse, allora vado su una bottiglia, scegliendo la bassa fermentazione della Fóti Kézműves Sörfőzde, la Keserű Méz. Pensavo fosse qualcosa di stampo classico, invece mi ritrovo la tipica ruffianata senza capo nè coda di stampo moderno, che ormai riesco ad intuire già dalle etichette cartoon.
Non ne capisco davvero il senso di questo corpo da masticare ed esageratamente fruttato, sotto cui si intuisce un substrato floreale di lavanda, decorato eccessivamente da frutta tropicale e frutta a polpa gialla. Chiaramente parliamo di luppolature, e questo viene anche esplicitato in una nota del birrificio che ho trovato: "It is bright yellow and opaque, with a thick white head. It’s bisquity, floral-honey sweetness, and its fruitiness resembling melon and mango are all work to hide the brutal bitterness of German hops - Spalter and Magnum."
Messa così, riesco a giustificarli molto poco.
Tra l'altro pare mi sia andata anche bene, i luppoli si avvertono, al contrario dell'assaggio e del conseguente post di cui si legge qui su Unabirraalgiorno.
In questo locale l'atmosfera è molto sui generis: il bancone è popolato da individui che sconfinano nel losco, che parlano con tono di voce parecchio elevato, e che ad un certo punto passano a superalcolici come nulla fosse per poi buttarsi ancora sulla birra, uscendo e rientrando nel locale lasciandosi andare in sproloqui a voce molto alta.
Non sono perbenista, ma l'idea che mi sono fatto è non solo che questa della birra artigianale in città sia innanzitutto una moda (così come un po' ovunque), ma che sia semplicemente una valvola di sfogo per alcune iniquità sociali ed una maniera per inserirsi in un contesto internazionale filo-occidentale, che un po' tutta quella giovane generazione di ragazzi dell'est europeo sogna e brama. Pur di sentirsi parte del tutto, si corre verso l'ennesima imitazione, verso l'emulazione del trend, con in più quel modo tipico di queste lande orientali, tendenzialmente sregolato, di vivere l'alcol.
La verità è che dopo questa esperienza, non sono riuscito ad entrare in empatia con questo ambiente.
E dunque, complice il poco tempo a disposizione, le diverse esigenze dei miei compagni dii viaggio e le altissime temperature che ci hanno costretti a ridimensionare gli itinerari per la città, non mi sono impegnato più di tanto per visitare altri posti e sottopormi a bevute dall'enorme punto interrogativo.
La città è fantastica vista con gli occhi di un turista.
La realtà birraria credo davvero riservi poche sorprese. Magari qualche birra ben fatta c'è, ed i prezzi sono decisamente abbordabili.
Ma questo viaggio sento ha aggiunto molto poco al carico di soddisfazione che i vari beer hunting in giro per l'Europa finora mi hanno riservato.
Sarà per un'altra volta...magari tra qualche anno potrebbe essermi più chiaro qualcosa o qualcosa potrebbe essere cambiato.
Cheers!
Budapest come città mi ha entusiasmato, letteralmente, sconvolgendomi al primo sguardo.
Viste mozzafiato e scenari unici, simili a nessun'altra capitale europea.
La storia tormentata, dagli apici asburgici al baratro comunista, ha lasciato capolavori ma anche orrori. Di riflesso, cultura e radici vengono a dimenticarsi e mescolarsi con la modernità.
È questo lo scenario che si presenta anche per un beer hunter.
Non vi è traccia del passato, nè remoto nè prossimo, ad eccezione di qualche strascico commerciale alquanto prevedibile.
Infatti devo confessare di aver bevuto una birra del marchio Dreher. Prima di partire pensavo fosse lo stesso gruppo dell'omonima birra italiana, semplicemente con una veste diversa per aggredire diversi mercati. Ma scopro che in Italia Dreher è controllata da Heineken Italia, mentre in Ungheria questo birrificio Dreher Sörgyár è di proprietà di SABMiller.
Si chiama Dreher Bak e non è affatto malaccio, molto appetibile con la cremosità di una schiuma color crema ed un corpo vellutato, tendendo ad interpretazioni di dunkel muscolose che strizzano l'occhio anche verso quelle birre ceche, come la celebre U Fleku, per esempio.
Certo, la bottiglia non è indice di nulla di buono, ma la birra ha sconfessato questa impressione.
Tra tutti i locali segnati in agenda, la maggior parte di essi era situata nel cosiddetto Quartiere ebraico, dove ancora troneggia la sinagoga più grande d'Europa.
In questa zona le strade si fanno vicoli, le luci fioche e l'aria è decisamente fresca e giovanile.
Ho visitato un paio di cosiddetti ruin pub, di cui lo Szimpla Kert è il più grande, curioso e rinomato. Come racconta il sito travelstales.it, sono pub realizzati all’interno di palazzi e spazi abbandonati. L’idea era nata inizialmente dall’occupazione (più o meno illegale) di questi locali da parte di gruppi di giovani che decisero prima di occuparli e poi riqualificarli con oggetti e materiali riciclati e stravaganze varie creando così dei luoghi che col passare degli anni sono diventati dei veri e propri simboli della città e della sua rinascita.
Lo Szimpla Kert è stato il primo ruin pub di Budapest, e per questo ritenuto il più famoso e il più frequentato. Realizzato all’interno di una fabbrica abbandonata, lo Szimpla Kert è uno dei tanti, circa venti, sparsi per la città.
Alla voce birra, purtroppo, non ho trovato alcun motivo di interesse, per cui ho preferito continuare il mio vagare tra altri ruin pub, alcuni davvero singolari (in uno, per esempio, intorno al tavolo si poteva stare comodamente in amaca...).
Sempre in questo quartiere, riesco a trovare uno dei locali segnati, vale a dire il Léhűtő.
Mi aspettavo dimensioni maggiori, ma si tratta di un piccolo locale interrato, con qualche tavolo anche all'esterno, con sei vie alla spina ed un paio di frigoriferi assortiti, gestiti da due ragazzi.
Il classico lavagnone contiene una sfilza di birre ungheresi, quasi tutte in bottiglia, con innesti dall'estero, principalmente dalla Germania e dalla vicina Slovacchia.
Difficile destreggiarsi tra nomi mai sentiti, e così è spontaneo chiedere informazioni, insieme alle quali ricevo anche degli assaggi. Provo la APA & Fia di Hatodik íz ed è la solita spremuta di luppolo tutt'altro che fresca, così come la Chopper IPA di Kaltenecker Pivovar. Altri assaggi di quelli in tap list mi convicono pochissimo, ed è il caso anche della Zip's Pilsner dell'omonimo Zip's Brewhouse, allora vado su una bottiglia, scegliendo la bassa fermentazione della Fóti Kézműves Sörfőzde, la Keserű Méz. Pensavo fosse qualcosa di stampo classico, invece mi ritrovo la tipica ruffianata senza capo nè coda di stampo moderno, che ormai riesco ad intuire già dalle etichette cartoon.
Non ne capisco davvero il senso di questo corpo da masticare ed esageratamente fruttato, sotto cui si intuisce un substrato floreale di lavanda, decorato eccessivamente da frutta tropicale e frutta a polpa gialla. Chiaramente parliamo di luppolature, e questo viene anche esplicitato in una nota del birrificio che ho trovato: "It is bright yellow and opaque, with a thick white head. It’s bisquity, floral-honey sweetness, and its fruitiness resembling melon and mango are all work to hide the brutal bitterness of German hops - Spalter and Magnum."
Messa così, riesco a giustificarli molto poco.
Tra l'altro pare mi sia andata anche bene, i luppoli si avvertono, al contrario dell'assaggio e del conseguente post di cui si legge qui su Unabirraalgiorno.
In questo locale l'atmosfera è molto sui generis: il bancone è popolato da individui che sconfinano nel losco, che parlano con tono di voce parecchio elevato, e che ad un certo punto passano a superalcolici come nulla fosse per poi buttarsi ancora sulla birra, uscendo e rientrando nel locale lasciandosi andare in sproloqui a voce molto alta.
Non sono perbenista, ma l'idea che mi sono fatto è non solo che questa della birra artigianale in città sia innanzitutto una moda (così come un po' ovunque), ma che sia semplicemente una valvola di sfogo per alcune iniquità sociali ed una maniera per inserirsi in un contesto internazionale filo-occidentale, che un po' tutta quella giovane generazione di ragazzi dell'est europeo sogna e brama. Pur di sentirsi parte del tutto, si corre verso l'ennesima imitazione, verso l'emulazione del trend, con in più quel modo tipico di queste lande orientali, tendenzialmente sregolato, di vivere l'alcol.
La verità è che dopo questa esperienza, non sono riuscito ad entrare in empatia con questo ambiente.
E dunque, complice il poco tempo a disposizione, le diverse esigenze dei miei compagni dii viaggio e le altissime temperature che ci hanno costretti a ridimensionare gli itinerari per la città, non mi sono impegnato più di tanto per visitare altri posti e sottopormi a bevute dall'enorme punto interrogativo.
La città è fantastica vista con gli occhi di un turista.
La realtà birraria credo davvero riservi poche sorprese. Magari qualche birra ben fatta c'è, ed i prezzi sono decisamente abbordabili.
Ma questo viaggio sento ha aggiunto molto poco al carico di soddisfazione che i vari beer hunting in giro per l'Europa finora mi hanno riservato.
Sarà per un'altra volta...magari tra qualche anno potrebbe essermi più chiaro qualcosa o qualcosa potrebbe essere cambiato.
Cheers!
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