Birrificio Birfoot, un nuovo produttore
nella città dei sassi

Era inevitabile che con il tempo anche zone meno coperte dal fenomeno dell'apertura di microbirrifici si mettessero in pari con altre. Tra le meno popolose Molise e Valle d'Aosta possono vantarne diversi e forse hanno lasciato in coda alla classifica da sola la Basilicata. Nonostante qualcosa fosse presente anche qui da diversi anni, forse ora sta arrivando un'altra ondata di piccole realtà, come quella di Birrificio del Vulture, della beer firm B79 e dell'ancor più recente Birrificio Birfoot.


Mosso dalla solita curiosità, passando per Matera ho provato ad avvicinarmi a questo impianto produttivo, locato in una sorta di centro commerciale che raggruppa diverse attività ed alcune aree di intrattenimento ma che in origine era adibito a mattatoio. Un luogo che sembra fungere da polo di attrazione per giovani realtà artistiche ed artigiane. I graffiti già testimoniano questa forte penetrazione giovane nel quartiere.
Ed anche Giovanni Pozzuoli, birraio e proprietario del birrificio Birfoot, lo è.


Mi racconta di aver cominciato a produrre birra a ad appena 19 anni ed ora poco meno che trentenne si ritrova ad aver realizzato il suo progetto. Nel mezzo tante cotte all grain e la decisione di formarsi professionalmente seguendo i corsi per birraio presso la Dieffe con sede a Padova.
Giovanni è il solo a lavorare in birrificio su un impianto Spadoni da 6 HL, ed attualmente la cantina è composta da due fermentatori-maturatori da 15 HL ciascuno, per doppia cotta, che gli assicurano quindi 30 HL di produzione.
La partenza è avvenuta pochissimi mesi fa, nell'ottobre 2016.
Quelle che ho appena bevuto, quindi, sono le primissime cotte tirate fuori da questo impianto, che a quanto pare è quindi il primo birrificio a sorgere nella città dei Sassi.
Sono tre le birre con cui parte questo progetto Birfoot, che ha nel nome la voglia di lasciare un'impronta indelebile nel consumatore di birra.


Parto con la Hop Jungle, una APA da 5,4%, birra d'esordio e che ormai rappresenta la gateway beer per molti visti i suoi irresistibili aromi e sapori che aiutano il consumatore medio di birra ad abbandonare le piatte certezze dei marchi commerciali, trasportandolo in un mondo a cui difficilmente riuscirà a venir fuori.
La birra è di colore dorato carico, con una schiuma bianca a bolle piccole, molto persistente.
Ho bevuto questa birra in birrificio, tra una chiacchiera e l'altra con lo stesso birraio, per cui non mi sono soffermato su tutti i dettagli gustativi. Una cosa, però, balza all'occhio, che si sia concentrati o meno su quello che si beve: si è trattato di una buona birra.
Molto ben fatta già in aroma, dove le copiose luppolature americane vanno a conferire i classici sentori pinosi e resinosi (ormai quasi del tutto soppiantati da note tropicali ed esotiche nelle APA più in voga) intensamente ma senza volgarità. In bocca si manifesta aggraziata, molto piacevolmente carbonata e morbida e successivamente secca, con un inevitabile amaro finale che però resta sul territorio pinoso ed appena erbaceo. Il malto è in secondo piano, chiaramente, ma la sua presenza non è totalmente sfuggevole, suggerendo un leggero sfondo di cereale.


Come seconda birra bevo la Aztec, birra ispirata alle strong ale britanniche, da 7,6%alc. Il suo colore è un ambrato carico che va sul tonaca di frate, mentre la schiuma è color crema, non molto persistente.
Gli aromi indicano solo malto e vanno puramente nel verso di caramello e mou , regalando una sensazione un po' monocorde. In bocca purtroppo non conferma la generosità degli aromi, mantenendosi sul territorio caramellato con poche variazioni e poca profondità. Oltretutto sembra mancare anche un ulteriore contributo amaro da luppolo, che benchè non sia stilisticamente tradizionale potrebbe spezzare il monopolio della dolcezza caramellata.


Infine viene il turno della Albus, una blanche da 4,8%alc. Colore giallo dorato, più carico del classico giallo paglierino usuale per lo stile, mentre la schiuma seppur non abbondante riveste a sufficienza il bicchiere con una persistenza accettabile. Gli aromi di coriandolo ci sono tutti, corredati da molti esteri che pescano tra i fruttati di banana, soprattutto, e poi di pesca, con un'appena percettibile nota agrumata. Al gusto attacca dolce, con sensazioni intense di malto chiaro, mielose e di cereale, molto persistenti in bocca. Il corpo è parecchio pieno, morbido e cremoso. Solo nel finale una lieve sensazione amara erbacea riporta un lieve equilibrio. La caratteristica nota acidula derivante dal frumento è poco avvertibile, quasi nascosta e coperta dalla componente maltata molto evidente, che non permette di rendere questa blanche scorrevole e watery come dovrebbe. Si tratta, immagino, di una precisa volontà del birraio e di una personale interpretazione di questo stile belga.


Tirando le somme di questi assaggi si può dire che sicuramente Birfoot avrà qualcosa da raccontare nel quasi vergine panorama lucano, e lo si può notare sia dalla scelta degli stili che da altri dettagli impiantistici nonchè dal progetto grafico, ma soprattutto dalla pulizia ed assenza di difetti denotabile già dalle prime cotte.
Sicuramente le birre saranno oggetto di tuning e modifiche nel corso del tempo, ma due birre su tre mi sembrano abbastanza pronte per affrontare i primi consumatori e curiosi.
Al di là dell'inquadramento stilistico, penso che l'esordio possa definirsi positivo. Sul giudizio mantengo una riserva che riguarda la precisione sugli stili, sopratutto su blanche e strong ale, ma spero e mi auguro che questi siano perfezionamenti che arriveranno nell'immediato, data che il birraio Giovanni dimostra di avere preparazione già sulla carta.


Spero di sentir parlare presto, bene e meglio del birrificio Birfoot, questo nuovo e scanzonato produttore lucano di pane liquido in questa città di pane solido.

Cheers!

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