“La birra all’uso di Baviera”: un precoce caso italiano di homebrewing?

Ospitiamo nuovamente sul blog un pezzo di Redazione Esteri, fido collaboratore e indagatore di aspetti tecnici degustativi, stilistici ma anche storici del mondo della birra. La sua attenzione, questa volta, è catturata da un testo italiano che parla di produzione casalinga, dove molto curioso è l'utilizzo del lievito. Un dettaglio che potrebbe risultare errato ma che ci porta a chiederci come realmente fossero le pratiche produttive di qualche secolo fa.

Durante una ricerca in biblioteca, per un fortuito caso di serendipità, mi sono imbattuto in un manualetto dal curioso titolo: Metodo facile e sicuro per coltivare i bachi da seta coll’aggiunta di un modo pratico per fare il bucato senza sapone, e coll’istruzione per fabbricare la birra all'uso di Baviera. L’autore del testo è un sacerdote, tale Angelo Solari. Il volume, in 8°, stando alle informazioni riportate nella Bibliografia italiana, è datato al 1836, e venne pubblicato a Piacenza dall’editore Del Manjo 1 . Dello stesso autore sono note due altre opere: All’ill.mo e rev.mo monsignore Antonio Ranza Vescovo di Piacenza e conte. Versi per la prima annua faustissima ricorrenza della sua solenne consacrazione avvenuta in codesta cattedrale addì 20 maggio 1849, pubblicato a Piacenza per i Tipi di A. Majno, probabilmente nel 1850; e una «Edizione nuova, corretta ed accresciuta» del Metodo facile e sicuro per coltivare i gelsi ed i bachi da seta, dedicata al conte Guido Baratieri, data alle stampe da Cairo, a Codogno, nel 1839.


Non era affatto inusuale che uomini di chiesa scrivessero testi pratici sugli argomenti i più disparati: ancora a inizio Ottocento, infatti, i sacerdoti facevano parte di quella ristretta porzione di popolazione che, in misura più o meno approfondita, aveva alle spalle un percorso di studi e, inoltre, aveva la possibilità di accedere al sapere contenuto nei libri e ai luoghi che conservavano questi ultimi, in particolare le biblioteche. Non è quindi strano che un uomo di chiesa si occupasse di bachicoltura.
A essere molto particolare, nel caso del Metodo facile e sicuro del Solari, è casomai l’accostamento delle tematiche affrontate: coltivazione dei bachi da seta, lavaggio di vestiti senza utilizzare il sapone e infine, produzione di birra. Non è dato sapere se il nostro fosse esperto di tutte e tre le attività e in che misura avesse esperienze pregresse in tali ambiti. È invece un dato di fatto che il sacerdote ne abbia voluto trarre un volume, pubblicato in due edizioni a distanza di pochi anni dallo stesso editore, circostanza che induce a ipotizzare un riscontro di vendite positivo. 

Concentriamoci ora sul capitolo intitolato Instruzione per fabbricare la birra all’uso di Baviera, che copre le pagine [29]-37 della prima edizione e chiude il manualetto. 
Innanzitutto bisogna tentare di chiarire cosa significasse, all’epoca, la locuzione «birra all’uso di Baviera» nel contesto italiano. In realtà non è chiaro, in generale, nemmeno cosa si intendesse per “birra bavarese” (tradotto in tedesco) nelle aree germanofone: probabilmente era un sinonimo di Lager, ma chi si è dedicato a studiare la storia della birra nei secoli passati non è arrivato a una definizione univoca e soprattutto costante nel tempo
2 . Siamo quindi alle ipotesi, nel senso che il tema meriterebbe ben altro approfondimento, per esempio una scansione a tappeto delle pubblicazioni italiane della prima metà dell’Ottocento che toccassero in modo precipuo o tangenziale l’argomento birra. Una bibliografia in tal senso è ancora da scrivere. Leggendo il testo di Solari, comunque, verrebbe da escludere che per «birra all’uso di Baviera» egli intendesse una birra Lager, dato che il processo di produzione prevede l’uso di lievito per pane e nessun controllo della temperatura di fermentazione, né tanto meno una maturazione al freddo. Se questa fosse un’interpretazione esclusiva del sacerdote o, piuttosto, una definizione diffusa in modo ampio nell’Italia dell’epoca, è ancora presto per dirlo e troppi elementi mancano per poter formulare una risposta accettabile. Piuttosto, verrebbe da supporre che per birra bavarese Solari intendesse birra prodotta con i soli quattro ingredienti che egli stesso cita: acqua, cereali, luppolo, lievito, cioè senza aggiunta di erbe, spezie o altre fonti di zuccheri fermentescibili (il miele viene usato per la rifermentazione in bottiglia). Anche il fatto che il sacerdote indichi i luppoli di Germania come i migliori, lascia supporre che una qualche esperienza nel settore la avesse.

Solari ci informa che la birra è una «bibita» molto diffusa e tra le persone di tutti i ceti e le età, specialmente nelle grandi città italiane, in particolare in quelle del nord (l’Italia come entità politica non esisteva ancora, e non è dato sapere se il sacerdote si riferisce qui solamente alle zone settentrionali della penisola o ha informazioni che coprono tutto il territorio). Il discorso di Solari mette in evidenza alcune argomentazioni che evidentemente erano già presenti nell’immaginario legato alla birra, e che continueranno a imperversare prima negli annunci commerciali sulla carta stampata, poi nelle campagne pubblicitarie diffuse dalla televisione in Italia: salubrità della bevanda e consumo estivo, come antidoto alla calura. 

A una prima lettura Solari sembrerebbe essere, di fatto, un homebrewer ante litteram: produce birra da sedici anni e ha operato in varie parti della Lombardia e del Piemonte ricevendo pareri positivi da chi ha bevuto le sue realizzazioni. Egli, tuttavia, non chiarisce le circostanze in cui la fabbricazione della bevanda è avvenuta: non sappiamo, cioè, se il sacerdote si dilettasse in questa attività per semplice passione o se, piuttosto, operasse su commissione. Ignoriamo, inoltre, dove e da chi abbia appreso il mestiere. Homebrewer o gipsy brewer, quindi? 

È evidente che Solari conoscesse il procedimento di produzione in modo dettagliato. La parte principale del suo testo riguarda infatti la scelta e la preparazione delle materie prime, oltre che la successione cronologica delle varie fasi di realizzazione della bevanda. Inizialmente si definiscono le quantità degli ingredienti; successivamente si passa a una brevissima – e lacunosa, perché tutta la parte che riguarda la germinazione controllata è omessa – descrizione di come produrre malto d’orzo in casa. Segue una altrettanto stringata rassegna delle caratteristiche e proprietà del luppolo e della maniera ottimale di coglierli e conservarli. Poi Solari descrive un tino di ammostamento/bollitura che si è fatto costruire appositamente perché porti a bollore la miscela utilizzando la minor quantità di combustibile. Seguono alcune frasi sull’impiego di lievito per panificazione e la descrizione di quello che sembrerebbe uno starter da preparare con anticipo rispetto alla cotta. Infine il processo produttivo vero e proprio, costituito da un ammostamento che prevede l’aggiunta contemporanea di cereali, luppoli e starter, per poi arrivare a una lunga bollitura di tre ore. Poi un raffreddamento in una vasca aperta e un passaggio del liquido ottenuto in un tino, dove rimane per 15 giorni a fermentare. Non si effettua sparging, ma delle trebbie vengono ammostate una seconda volta e fatte bollire nuovamente con altri luppoli. Infine, al termine della fermentazione, la birra viene imbottigliata con miele o zucchero e fatta rifermentare al caldo, in bottiglie di terracotta tenute sdraiate. Prima della nota finale riguardante la scelta delle acque più adatte, una menzione per le birre prodotte in inverno, fino a marzo, che si conservano meglio. 


Il testo di Solari mette insieme diversi elementi interessanti: un processo produttivo di questo tipo, con un solo tino, un ammostamento cui segue direttamente la bollitura, l’assenza di sparging, il riutilizzo delle trebbie per produrre un secondo mosto da fermentare separatamente o mescolare con il primo mosto, il raffreddamento in vasca aperta, la preferenza per le birre prodotte nei mesi freddi, i preconcetti sulle acque di falda piuttosto che di fiume, sono tutti argomenti abbastanza caratteristici delle birre prodotte nell’Europa continentale nei secoli passati, pur in una serie infinita di varianti procedurali. Se raffrontate con le tecniche e gli ingredienti odierni, potrebbero sorgere dei dubbi sulla riuscita di queste operazioni, eppure la birra nei secoli passati veniva prodotta e consumata largamente. Bisognerebbe davvero fare una prova...
Di seguito la trascrizione integrale del capitolo dedicato alla produzione casalinga di birra.


L’uso di fabbricare e bere la birra in Italia è tanto grande, che ormai nelle città capitali è divenuto quasi un articolo di prima necessità, come il vino. La birra veramente è una bibita che si adatta e conviene a qualunque ceto, condizione e sesso di persone: questa la bevono i giovani, i vecchi, gli uomini, le donne, i ricchi, i poveri, i sani e gli infermi, sempre con piacere, e con gran vantaggio della salute. La birra, quando è buona e ben fermentata, estingue la sete, rinfresca, corrobora lo stomaco, aiuta la digestione, e rende contento e soddisfatto il bevitore. In tempo d’estate certo non v’è bibita che faccia bene al corpo umano come la birra; e per questo nelle capitali di Milano e di Torino se ne beve abbondantissimamente. L’acqua estingue la sete, ma non come la birra, ed in alcuni cagiona ventosità; i gelati rinfrescano, ma usati con abbondanza cagionano delle coliche pericolose: il vino manda calore, e bevu- [fine p. 31] tone molto, aumenta la sete, leva le forze ed i sentimenti. E non v’è mai stato al mondo uno che possa dire: quando la birra è buona mi ha fatto male; anzi dirà mi ha fatto bene.
Sono sedici anni che mi diletto a fabbricare birra, e ne ho fabbricato nel Comasco, in Milano, nel Pavese e nel Piemonte: e da per tutto i bevitori intelligenti bevevano, approvavano, e lodavano questa birra. È vero che il modo di fabbricare è diverso; ma che giova, quando si ottiene lo stesso intento, ottima birra, e molti vantaggi; le quali cose tutte si vedranno da chi avrà il piacere di fabbricarne con questo metodo.
Gli ingredienti per fabbricare la birra sono quattro, e non più: acqua, grano, luppoli e lievito. Nei grani, è ottimo l’orzo, è buono il frumento e la segala. In un moggio se ne cavano dodici ed anche quattordici brente, in tempo d’estate, e dieci d’inverno. 3
Il grano bisogna tostarlo a fuoco lento, e la tostatura va fatta con lamina di ferro buca come i crivelli; nel tostare è necessario, con una paletta di ferro muovere sempre il grano, perché non abbruci; quando è abbruciato, diventa carbone, e non val niente; ed è tostato il grano quando di dentro è rossiccio, e color della noce: ecco la prima materia od ingrediente per la birra. [fine p. 32]
Per fabbricar birra è necessario provvedersi dei luppoli; questi nascono in abbondanza nei luoghi piuttosto umidi, anche in Italia; quelli della Germania sono i migliori. Alla metà di agosto cominciano a comparire, e circa al 20 di settembre sono maturi: maturano quando matura l’uva, e si conoscono, quando prendono un color di noce. Quando sono maturi, si raccolgono, si fanno seccar bene, e quindi si mettono in una cassa, od altro recipiente, con un peso sopra, come si fa col tabacco; fermentano, prendono l’odore d’erba, ed acquistano un gratissimo odore; così si conservano in luogo asciutto fino al bisogno: se prendono umido, formano muffa, e rovinano la birra: ecco la seconda materia, od ingrediente, per la birra.
Ma soprattutto si deve pensare a preparare una caldaia, che bolla con poca legna e in breve tempo, per il risparmio; dico la caldaia, che deve contenere l’acqua, terzo ingrediente per la birra. Io avevo immaginato, ed ho fatto eseguire un fornello alto circa un braccio, largo once nove, e lungo ventiquattro; e sopra questo fornello aveva fatto mettere una lastra, o sia lamina di rame, sostenuta con delle bacchette di ferro, per portare il peso dell’acqua che ci doveva andar sopra: e su questo fornello e lamina feci fabbricare le sponde alte un braccio, ben stuccate di dentro: ecco fatta la caldaia, che [fine p. 33] teneva circa venti brente, e che bolliva in un’ora e mezzo; ed in ventiquattro ore si fabbricavano sessanta e più brente di birra; ben inteso che vi era nel fondo una chiave inglese per cavar la birra; e questa caldaia aveva il suo coperchio, perché bollisse più presto: e ne ebbi ottima riuscita.
Passiamo al quarto ingrediente, che è il lievito. Di orzo già tostato conviene macinarne una misura, come sarebbe la decima parte, e farne farina. Stabilito il giorno per fabbricare la birra, conviene procurarsi tanto fermento, o lievito, di quello che si fabbrica il pane, di volume e quantità circa di una noce, o poco più, e scioglierlo in una scudella d’acqua calda; e quindi impastarvi dentro l’orzo tostato e macinato, ossia la farina, e lasciarlo fermentare come quando si vuol fare il pane; e qui sta la maggior difficoltà, il colpire quando sia fermentato; perché se prima, non ha forza, se dopo, ha perduta la forza: è prudenza farne due misure, una dopo l’altra, misura grossa come una libbra di dodici once; ecco il quarto ingrediente.
Ciò tutto pronto s’empie la gran caldaia d’acqua chiara, vi si getta dentro il grano tostato (e questo grano tostato sarà meglio lasciarlo nell’acqua un poco calda il giorno avanti, perché così cuoce più presto), ed in allora conviene versare anche quell’acqua ov’ è stato l’orzo tostato, che sarà bella colorita con [fine p. 34] qualche corpo per la birra; indi di luppoli se ne metterà una quantità, a misura della birra che si vorrà fabbricare; una libbra da dodici once può bastare per una brenta, ed anche più. Quando sarà calda l’acqua della caldaia, ed il fermento al segno, conviene scioglierlo, gettarlo nella caldaia, e far bollire tutto assieme per tre ore, e non meno (a). 4 Notisi anche, che più bolle, la birra diventa migliore, perché l’acqua acquista corpo: p.e., facendo bollire la carne, se bolle mezz’ora, il brodo sarà poco buono, se tre ore sarà buono; così della birra, più bolle, diventa migliore, ed acquista corpo: cotta la birra, si leva dalla caldaia, si getta nella freddora, che è fabbricata come un navazzola bassa di sponde; si lascia venir quasi fredda, e di là si passa nel tino, e si copre: ecco fatta la birra. Questa fermenta, conviene lasciarla per 15 giorni; intanto ogni due o tre giorni levare quella schiuma che forma, e gettarla via; e dopo 15 giorni si leva e si mette chiara nel vascello, od altro tino, bella, chiara, ed il fondo buttarlo via, il fondo cioè che resta nel tino; del fondo poi che abbiamo lasciato nella caldaia, sarà bene tornare ad empire la caldaia d’acqua, e farla bollire con quel fondo per [fine p. 35] quattro ore, la seconda volta coll’aggiunta sola di un poco di luppoli, ed avrete birra buona come la prima; ed anche con questa si fa come colla prima, e si può mischiare. Quando, dopo 15 giorni, sarà chiara, si mette nelle bottiglie, le quali se fossero nuove converrà lasciarle per ore 24 in acqua prima di empirle di birra: dopo ciò si empiono di birra chiara, le bottiglie di terra cotta fatte a quest’uso; e con un poco di miele e zucchero, vale a dire un cucchiarino da caffè per la quantità; si mette nella bottiglia e si chiude bene, si lega con un spago di capana, e si lascia fermentare nella bottiglia coricata al caldo; in tempo d’inverno fermenta nella stufa, ma d’estate dovunque: il tempo per fermentare sono cinque a sei giorni, secondo il cando; nel gran caldo anche la metà tempo: perché la birra sia buona bisogna che stia otto giorni in bottiglia. La birra va tenuta sempre al fresco, e si conserverà sempre sana; ma al gran caldo può imputridire: la birra conviene beverla sempre fresca, perché calda non è buona; notisi anche che la birra fabbricata d’inverno è migliore; e si dice che la birra di marzo è migliore, appunto perché la stagione è ancora fredda, e poi passa la birra nella calda stagione che fa vegetare, e diventa ottima birra. Si fa osservare anche che tutte le acque non sono buone per fabbricare birra. Le acque piovane, [fine p. 36] di fiume, di lago sono ottime; quella de’ pozzi non è tutta buona; io ho trovato in un pozzo nel Pavese, e in un altro nel Piemonte, che quell’acqua non ha voluto fermentare, sebbene ho trovato un altro pozzo vicino la cui acqua fermentava bene. Sarebbe prudenza, prima di piantare una fabbrica in grande, provare l’acqua per non gettare la fatica ed il denaro, come ha fatto uno nel Piemonte, perché l’acqua non era buona. Chi userà del metodo sopra indicato farà ottima birra.


1 Metodo facile e sicuro per coltivare i bachi […], n. 463, «Bibliografia italiana, ossia elenco generale delle opere d'ogni specie e d'ogni lingua stampate in Italia e delle italiane pubblicate all'estero», 2, (1836), p. 46, <https://books.google.it/books?redir_esc=y&hl=it&id=lFsSAAAAIAAJ&q=birra#v=onepage&q=birra&f=false> (ult. cons.: 04.12.2025). Un esemplare è conservato presso la Biblioteca Palatina di Parma.

2 Jessica Boak – Ray Bailey, Gambrinus waltz. German Lager beer in Victorian and Edwardian London, self published, 2014, p. 4 e seguenti; Ronald Pattinson, Decoction!, 6. ed., Amsterdam, Kilderkin, 2014, p. 11 e seguenti; Andreas Krennmair, Historic German and Austrian beers for the home brewer, self published, 2018, p. 25 e seguenti; Petr Holub – Jaromír Fiala, Regional differences of beer styles in early modern Europe, «Kvasny prumysl» 68 (2022), p. 572-584, <https://doi.org/10.18832/kp2022.68.572> (ult. cons.: 09.12.2025).

3 Nell’Italia del passato – e non solo in Italia – non esisteva un sistema di misurazione univoco: i nomi delle unità di misura e i relativi valori variavano, anche di molto, a seconda del luogo. Il ‘moggio’ (o ‘sacco’) si utilizzava per misurare la quantità e il peso delle materie asciutte, in particolare delle granaglie: a Milano esisteva una differenziazione tra ‘moggio/sacco’ per cereali  e ‘moggio’ da carbone. A loro volta, grano, riso, avena avevano valori differenti (Soma dell’avena = 9 staia, soma del riso = 12 staia) e ‘sacchi’ di capacità differenti, misurate in staia, quartari, metà, quartini e corrispondeva a circa 1,4 ettolitri. La ‘brenta’ misurava invece la capacità dei liquidi e a Piacenza  corrispondeva a 75,7712 litri. Cfr. Dizionario universale dei pesi e delle misure in uso presso gli antichi e moderni con ragguaglio ai pesi e misure del sistema metrico, compilato dal ragioniere Giovanni Croci, Milano, Presso l’Autore a San Giovanni Laterano, 1860, p. 41, 86, 108-109, <https://ia802803.us.archive.org/29/items/dizionariouniver00croc/dizionariouniver00croc.pdf> (ult. cons.: 05.12.2025); Misure locali per le superfici agrarie, seconda edizione, Roma, A.B.E.T.E, 1930, <https://lipari.istat.it/digibib/Agricoltura/IST0007219MislocsupagrVIIEd_1950.pdf> (ult. cons.: 05.12.2025); Vocabolario on line, s.v. Moggio, <https://www.treccani.it/vocabolario/moggio/> (ult. cons.: 05.12.2.25). Un ettolitro di frumento pesava in media 76 kg, ma un ettolitro di segale pesava in media 70 kg, e il mais si fermava a 66 kg, mentre l’orzo scendeva a 64 kg, con l’avena che si attestava attorno ai 45 kg. Uno staio corrispondeva a 4 quartucci delle sedici (18,40 litri) e un quartuccio equivaleva a 4,60 litri. Cfr. Angelo Martini, Manuale di metrologia ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino, Ermanno Loescher, 1883, p. 590, <https://books.google.it/books?id=yNwJAAAAIAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false> (ult. cons.: 05.12.2025).

4  (a) Nel bollire l’acqua calda, e conviene poco per volta aggiungere poca quantità, e mantenere sempre piena la caldaia di acqua.

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