Parlare delle proprie birre può essere facile e difficile.
Difficile perché se non spieghi la ricetta nascondi gran parte delle aspettative.
Facile perché dopo averne bevuta un bel po' la senti davvero dentro e davvero tua.
Sabato scorso: replica differita in tv di Inghilterra-Italia di rugby a Twickenham.
Quasi un'intera giornata impiegata per partecipare ad una fruttuosissima cotta pubblica (che probabilmente sarà oggetto di prossimi post) e quasi tutti i recettori nasali saturi dell'odore del malto e di un olfattivamente indimenticabile luppolo Cascade.
Gli aggiornamenti sul web possono attendere, un lampo mi colpisce e mi suggerisce come riprendermi e riperdermi nel mondo delle ale, nell'odore british dei pub, in quella straordinaria e per me inconfessabile "aria di casa".
Il connubio per me perfetto è proprio con una bella bitter.
La prendo dalla cantina e so già che non ho bisogno di rinfrescarla molto. Va bene così com'è.
Certo, non ha moltissimo a che fare con quelle draught alla spina che ancora sento in corpo e in gola. Anzi, forse non ha nulla a che fare.
Però a me piace gustarla tra una mischia e l'altra, illudendomi nel mio solitario soggiorno di essere ancora in un pub ad ordinarne una ogni 15 minuti con sincronizzata pausa toilet.
La carbonazione è stata un pò eccessiva anche in questa, maledizione...non è come la voglio io. Ed il dolce del malto mi sa di medicinale e di vecchio, ma col senno di poi non credo saremmo riusciti a far molto meglio. Questo partial mesh lo abbiamo un pò improvvisato, causa limitato tempo di vita dell'estratto.
Ma non mi importa.
E per coniugare il carattere inglese e l'anima meridionale non poteva esserci di meglio che chiamarla Bitterròna, un nome sintetico che racchiude queste due anime lontane divise da mezza Europa.
A distanza di una decina di mesi dallo scorso giugno forse un pochino è migliorata, ma l'amaro sembra proprio staccato da tutto il resto, pur essendo non aggressivo e mantenendosi da metà boccata in poi.
La sconfitta un po' mi rammarica, quella al gusto anche ma forse meno.
Fatto sta che tempo per ripetersi c'è sempre, e tempo per migliorare anche.
Piccole speranze di homebrewer in cerca di dejavu...anzi, di qualcosa di già bevuto...dejabu!
Difficile perché se non spieghi la ricetta nascondi gran parte delle aspettative.
Facile perché dopo averne bevuta un bel po' la senti davvero dentro e davvero tua.
Sabato scorso: replica differita in tv di Inghilterra-Italia di rugby a Twickenham.
Quasi un'intera giornata impiegata per partecipare ad una fruttuosissima cotta pubblica (che probabilmente sarà oggetto di prossimi post) e quasi tutti i recettori nasali saturi dell'odore del malto e di un olfattivamente indimenticabile luppolo Cascade.
Gli aggiornamenti sul web possono attendere, un lampo mi colpisce e mi suggerisce come riprendermi e riperdermi nel mondo delle ale, nell'odore british dei pub, in quella straordinaria e per me inconfessabile "aria di casa".
Il connubio per me perfetto è proprio con una bella bitter.
La prendo dalla cantina e so già che non ho bisogno di rinfrescarla molto. Va bene così com'è.
Certo, non ha moltissimo a che fare con quelle draught alla spina che ancora sento in corpo e in gola. Anzi, forse non ha nulla a che fare.
Però a me piace gustarla tra una mischia e l'altra, illudendomi nel mio solitario soggiorno di essere ancora in un pub ad ordinarne una ogni 15 minuti con sincronizzata pausa toilet.
La carbonazione è stata un pò eccessiva anche in questa, maledizione...non è come la voglio io. Ed il dolce del malto mi sa di medicinale e di vecchio, ma col senno di poi non credo saremmo riusciti a far molto meglio. Questo partial mesh lo abbiamo un pò improvvisato, causa limitato tempo di vita dell'estratto.
Ma non mi importa.
E per coniugare il carattere inglese e l'anima meridionale non poteva esserci di meglio che chiamarla Bitterròna, un nome sintetico che racchiude queste due anime lontane divise da mezza Europa.
A distanza di una decina di mesi dallo scorso giugno forse un pochino è migliorata, ma l'amaro sembra proprio staccato da tutto il resto, pur essendo non aggressivo e mantenendosi da metà boccata in poi.
La sconfitta un po' mi rammarica, quella al gusto anche ma forse meno.
Fatto sta che tempo per ripetersi c'è sempre, e tempo per migliorare anche.
Piccole speranze di homebrewer in cerca di dejavu...anzi, di qualcosa di già bevuto...dejabu!
Hai ragione sugli errori e sul fatto che bisogna migliorare molto ma credo che non bisognerebbe mai perdere la filosofia che lega tutti gli homebrewer (almeno all'inizio) e ripartire da li... Il gusto non è solo il bere ma anche la fatica del produrre e nel sentir crescere la fermentazione,tra una chiacchiera e l'altra,tra confidenze e speranze,tra errori e amnesie. Il gusto è una bella etichetta, l'odore degli strumenti... Ripartiamo da quel gusto per migliorare quello vero...quello del nostro prodotto. Non smarriamo mai le radici per poter crescere più in alto.
RispondiEliminaA presto amici!
la capacità di riuscire a trovare nomi così è una qualità che dovrebbe consolarti in caso di delusioni gustative...
RispondiElimina@Sergio: la fatica del produrre è ciò che più dà gusto nel bere, verissimo. E l'odore degli strumenti vale un sorso intero. Ho intenzione di rimettermi/ci in moto, siamo stati troppo fermi questo inverno!
RispondiElimina@Luka: fortunatamente qualche bel guizzo ogni tanto viene. La ciliegina sulla torta, come dare un nome accattivante, è sempre irresistibile!!! :)