New York: beer hunting tra Manhattan e Brooklyn

La "Grande Mela" apparentemente sembra un luogo freddo, distaccato, legato al mondo dell'economia, della finanza e del vil denaro.
Poco spazio per il sapore popolare della craft beer, quindi? Nient'affatto.
Non si può essere più in errore di così, neppure considerando la centralissima Manhattan.
Il programma del mio beer hunting per i locali della città è stato ampiamente rispettato, nonostante queste prime impressioni poco dopo aver familiarizzato con la città.



Il primo luogo dove finalmente riesco a bere è Rattle N Hum East (ne esiste anche uno "West", sempre su Manhattan), a due isolati dal mio hotel e a pochi minuti a piedi da Times Square.
Splendido il locale, con bandiere distese sul soffitto insieme ad arredamento da bancone, con l'immancabile football a catturare l'attenzione dei presenti. L'ispirazione irlandese è evidente già dal nome


Il banco spine è ben dotato e la scelta è tra 40 vie: scelgo una Duet di Alpine e la Cestero di Cigar City. La prima una West Coast IPA dello storico birrificio californiano, di buon livello con Simcoe ed Amarillo, mentre la seconda si mostra come una Double IPA molto carica di aromi pinosi e resinosi.
È la seconda a soddisfarmi di più per intensità e freschezza, anche se della prima preferirei la maggior facilità nel bere dopo questa complicata prima giornata su suolo americano.
Il locale ricompensa del lungo viaggio e delle vicissitudini per giungere in albergo (tra cui un violento tamponamento del taxi su cui viaggiavamo) e comincia a mostrarci i primi punti fermi di questo modo americano di intendere il pub, molto simile alla concezione britannica ma ancor più vivo e vitale a proposito dell'atmosfera.


Il giorno successivo è la volta di passare dall'altra parte dell'East River, percorrendo lo splendido Brooklyn Bridge e ritrovandosi dalle parti del quartiere Williamsburg. Il pretesto era mangiare barbecue da Fette Sau, dove si trovano anche diverse birre craft di birrifici dell'area di New York, bevendo e mangiando su livelli molto alti.
Il banco spine è letteralmente terrificante, con coltelli di ogni tipo posti sulle spine in un contesto molto underground e di grandissimo effetto. L'atmosfera è davvero piacevole, soprattutto disimpegnata: scordiamoci i locali nostrani con prenotazioni, servizio ai tavoli, riverenze e formalità perchè qui vige il self service, la libertà e la semplicità che ti rendono un pasto o una bevuta decisamente rilassante ed appagante.


Qui ordino due birre scure nel tentativo di unire i sapori della carne di angus con quelli dei malti tostati. Il tentativo con la Kelso Nut Brown Lager va abbastanza bene, nonostante la pulizia tipica di una bassa fermentazione, irriverentemente denominata alla stregua di una ale inglese, non sia così incisiva. Va parecchio meglio, invece, bevendoci sopra la Greenport Harbour Black Duck Porter, anch'essa locale e molto profonda nel sapore di cacao, dando complessivamente un bel contrappeso ai morsi di tenerissima carne.


Le spine totali sono 10, ed è curioso constatare che la parte gastronomica e birraria, pur coesistendo nello stesso locale, siano affidate a due soggetti diversi, dovendo così fare due diversi ordini ai rispettivi banchi. Mi è piaciuto, considerando che ognuna delle due costole del locale probabilmente ripone cura e dedizione solo nel proprio campo di competenze.


Altro locale decisamente importante è il Blind Tiger, in zona Greenwich Village. Spaventosa la quantità di gente che trovo in un giorno qualsiasi poco prima del tramonto, tanto che si rende quasi impossibile raggiungere il bancone, leggere sulle lavagne cosa c'è alla spina ed ordinare. Leggevo online qualche ora prima di una Hill Farmstead presente, ma giungo troppo tardi perchè ormai non c'è più. Ripiego su una birra del lanciatissimo newyorkese Other Half: peccato che c'è solo una loro imperial stout molto muscolare, che a stomaco vuoto non è il massimo della vita. Si tratta della Maple Creamies, realizzata con sciroppo d'acero del Maine e lattosio in collaborazione con Bunker Brewing. Intensità alle stelle, sapori così persistenti in bocca da richiedere qualcosa in accompagnamento, con l'ulteriore spinta melliflua del lattosio. Devo dire che il contributo dello sciroppo d'acero si avverte ed è davvero originale, tanto che ormai sta comparendo molto spesso in altre birre un po' ovunque in tutta la scena craft.


Tantissima gente ed un caos infernale, sommato alla necessità di mangiar qualcosa ed all'imminente concerto jazz in programma nel vicino Village Vanguard, mecca mondiale per tutti gli amanti del genere, mi fanno desistere dall'ordinare ancora altro. Ma il Blind Tiger mi è sembrato uno dei migliori locali dove si potrebbe trascorrere una serata a bere di qualità, con le sue 28 spine, 1 birra a caduta fissa ed 1 cask fisso proveniente da birrifici americani a rotazione.


Si torna in Downtown, la centralissima zona di Manhattan, e le cose tornano ad assumere sembianze più normali, con molte referenze crafty intrecciate ai craft puri tra gli elenchi. Caratteristica che ho trovato anche in altri posti e che è indice di come l'accoppiata tra queste due sfere della birra di qualità sia diventata quasi la norma qui, dopo le grandi acquisizioni dell'industria. Tant'è che si vedono passare tranquillamente furgoncini di grandi birrifici (Bell's, Dogfish Head) tra le vie del centro, mentre consegnano birre ai locali.

Sempre a poche avenue Times Square, quindi, ci imbattiamo nel District Tap House. Qui come in altre birrerie di qualità, c'è da dire, ho trovato sempre splendidi hamburger, con carne davvero succulenta e saporita, che andava a nozze con birre di uguale livello. Ho bevuto la Grizacca di Oxbow, altro grande nome del Maine: ottimi gli aromi citrici dovuti all'uso del luppolo Azacca in questa grisette, una sorta di saison leggera molto luppolata, delicatissima anche nella componente frumentosa ma con grandissima facilità di bevuta e per questo davvero dissetante.


Il luogo è un lunghissimo bancone dove si alternano schermi che trasmettono qualunque sport a settori di spine. Mi piace molto che ci sia scritto a chiare lettere che le molte delle birre spillate qui sono locali e per questo fresche.
Quello che in pochi forse sappiamo è che ormai anche la scena newyorkese è in decisa impennata a proposito di birre di qualità, recuperando un po' di quel successo che negli anni si è distribuito soprattutto tra i birrifici della costa opposta, quella californiana, e di stati come Oregon, Colorado e Maine.


Prendo la Gun Hill IPA del birrificio Gun Hill, il cui nome (collina delle armi) conferma senza ombra di dubbio la sede produttiva, ovvero quella spesso pericolosa zona della città che è il Bronx. Con mia sorpresa mi sembra davvero una birra ottima, decisamente fresca di produzione con aromi ben definiti e puliti, che si aggirano su territori di arancia ed aghi di pino, con una moderata secchezza. Certo, non parliamo dei capolavori californiani che avrei assaggiato un paio di settimane dopo, ma nemmeno di quelle East Coast IPA che imperavano su questi lidi forse un decennio fa. Ormai anche qui è arrivata la notizia che una IPA ben fatta non può che giovare da una buona secchezza.


Ultimissima fermata è quella alla Heartland Brewery, in pienissimo centro, accanto all'ingresso per salire in cima all'Empire State Building. Proprio nell'attesa di salirci, non ho resistito dall'entrare, nonostante la location turistica e l'apparenza non fossero motivi molto validi. Ad ogni modo è una sorta di brewpub, anche se gli stabilimenti produttivi non si trovano in questa posizione. Tra l'altro ci sono anche altre birrerie che il birrificio ha aperto in altre zone della città.
Molto grande, su due livelli, con un banco da 7 spine. Bevo la Heartland Indiana Pale Ale, che forse si avvicina a quel modello di IPA della costa est di cui parlavo. Nonostante ciò, mi è capitata una birra fresca, dove il contributo luppolato è raggiante ed evidente, bilanciato leggermente dalla componente biscottata dei malti. Ma tutt'altro che una brutta birra, anzi.


Peccato per i prezzi, perchè a New York si viaggia sugli 8 $ per 8 fl, ovvero circa 7 € per una 33 cl. Tutt'altro che bassi, ma stiamo sempre parlando dell'ombellico del mondo, dove costa qualsiasi cosa.
Girovagare per birra tra Manhattan, Brooklyn e Williamsburg mi è piaciuto molto, nonostante utilizzare la metropolitana qui non sia affatto facile come potrebbe sembrare (pochi scambi tra linee, con conseguenti giri pazzeschi).


Ho avuto modo di assaporare un contesto suburbano che in realtà è fatto da una rete invisibile di molti birrifici che lavorano anche molto bene. Non ho bevuto male neppure una volta: magari ho scelto bene io, ma sicuramente si sta sviluppando anche qui una qualità sempre maggiore, trascinata dal modello californiano e del nord-est del Paese e dai loro birrifici (i citati Alpine, Bell's ecc...) che ormai hanno raggiunto e colonizzato anche questa città.


Il viaggio continua...

Cheers!

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