Quando si comincia a far birra in casa spesso non si sa da dove cominciare, da quale stile farsi ispirare per le prime produzioni. Solitamente si opta per quelli più semplici, che via via si arricchiscono di spunti per qualcosa di più complesso man mano che si attraversa l'esperienza dell'homebrewing.
Molti homebrewer hanno un sogno inconfessato di lanciarsi, prima o poi, verso produzioni più estreme, in cui tentare di emulare altri colleghi molto esperti o birrai navigati. Queste esperienze possono essere solitamente collegabili a dei mondi produttivi complessi in cui occorre molta tecnica, conoscenza e capacità di ragionamento. Uno di questi, forse il più complesso, è quello che prevede l'utilizzo di botti. Quando parliamo di legno e botti ci riferiamo a caratelli di dimensioni contenute: solitamente si ragiona a partire dai 20 L fino al limite massimo dei 225 L che contraddistinguono una barrique. Nel mezzo una serie di taglie intermedie che influiscono direttamente sul risultato durante il passaggio di birra al loro interno.
DIFFICOLTÀ
È un mondo che ho sempre cercato di studiare ma che non ho mai approfondito bene fino in fondo.
La principale difficoltà che ho trovato e che credo non stimoli molti homebrewer a cominciare è una: le informazioni mi sono sempre sembrate frammentarie e non essendoci particolari libri dedicati bisogna andare a tentoni. Le strade sono due: raccogliere l'esperienza diretta di chi lavora con le botti (cantine vinicole) oppure affidarsi ai gruppi su forum e social dove racconti e post possono suggerire consigli e innescare discussioni (per esempio, ci sono molti report sul gruppo facebook Accademia delle Birre). Molto spesso i pochi homebrewer che usano botti per elevare le proprie birre si basano sulle proprie esperienze, anche sui propri errori, e pur volendo non riescono a suggerire delle fonti attendibili, e così ci si ritrova a fidarsi della parola di chi sembra saperci fare.
Si capisce bene come questo non agevoli molto la voglia di buttarsi in questo mondo, che già di per sè ha molte altre problematiche. Quello che manca di più, secondo me, è proprio la presenza di linee guida chiare, che distinguano metodi e obiettivi del passaggio in botte e che aiutino nella gestione di tempi e fasi di processo.
Quello che io e Francesco Antonelli abbiamo fatto nello scorso anno è un libro sull'homebrewing che ha visto la luce pochi mesi fa, per cui nel nostro Fare la birra in casa abbiamo fortemente voluto inserire un capitolo dove se ne parlasse: personalmente avevo davvero voglia di dare forse la prima vera fonte in lingua italiana da cui si potesse imparare qualcosa sull'argomento.
È stato fondamentale, in questo capitolo del libro così come nella mia esperienza, ricevere spunti e correzioni da chi si è decisamente specializzato sull'argomento: non posso non ringraziare Miro Sampino, Paolo Erne, Marco De Grazia, Mattia Pogliani che con qualche dritta hanno provveduto a darmi un input da cui cominciare. Usare le botti non è come fare una birra qualsiasi: è un ingrediente e come tale va pensato e immaginato insieme agli altri.
Questo post non vuole essere sostitutivo del capitolo, ma voglio raccontare una esperienza vera e vissuta che riguarda la mia prima Imperial Stout passata in botte in modo che, chi volesse cominciare, ha almeno una base da cui partire
STILE
Difficile non catalogare queste imperial stout come stile a sè. L'impatto degli aromi di vaniglia e derivanti dal distillato o dal superalcolico ospitato in precedenza sono in grado di donare un contributo anche grande ad una birra base. Gli esempi fioccano ormai ovunque e sostanzialmente si riprende un modo di lavorare la birra che è proprio del passato, ovvero l'uso del legno, ma declinandolo al mondo della birra quasi come avviene nel mondo dei distillati come whisky, bourbon, cognac ecc. Questi, a loro volta, sono spesso realizzati utilizzando botti in cui ha riposato per anni e anni qualche grande vino fortificato come quelli iberici Porto, Sherry, Madera. Sono botti che costituiscono un punto fermo di queste produzioni e che sono vendute a peso d'oro dai produttori di questi vini per via del loro grande valore residuo. Dopo aver fatto maturare distillati, queste sono ancora ricche e ancor più ricche di sfumature e stanno trovando ormai da più di un decennio un grande utilizzo nel mondo birrario. Non è facile trovarle per un birrificio ed è difficilissimo per un homebrewer, considerando anche che spesso si tratta, nel caso migliore, di barrique da 225 L e che hanno un costo non indifferente. Immaginarsi di produrre 225 L di Imperial Stout, per quello che mi riguarda, è pura follia, per cui credo si possa cercare decisamente qualche metodo alternativo e che non sia quello che preveda l'uso di chips o cubi di legno: per quanto carino e pratico, toglie decisamente fascino alla gestione della maturazione di una birra "barrel aged", nonostante in passato lo abbia fatto con risultati anche buoni (qui un mio articolo).
Nominare alcune Barrel Aged Imperial Stout non è impresa facilissima perchè molte delle migliori provengono dal mercato americano. Tuttavia in Italia ci sono buoni esempi che si sono sviluppati negli ultimi anni: penso alla linea di Lambrate, a quella di Brasseria della Fonte e al recente progetto di Ritual Lab con la sua Papa Nero elevata in diverse botti.
Personalmente tra questi non ho trovato una birra che mi abbia fatto letteralmente innamorare, vuoi per l'eccessivo spazio occupato da bourbon o altro distillato, vuoi per il modo di farle comparire con nessuna schiuma e nessuna gasatura assimilandole più a un distillato stesso che a una birra. Forse la KBS di Founders è quella che mi ha dato un'emozione di un certo livello.
FERMENTAZIONE, MATURAZIONE, ELEVAZIONE
Innanzitutto occorre capirsi e capire il proprio obiettivo, quello che si cerca da una birra, e di conseguenza quali scelte fare.
Le botti possono avere diversi utilizzi
Si può fermentare qualcosa all'interno, simulando quanto avviene per i lambic e le nuove famhouse americane: in queste birre, dopo un primo attecchimento di lieviti e batteri delegato alla vasca koelschip (o coolship, in inglese), si fa avvenire già la fase tumultuosa della fermentazione direttamente in botte. Qui poi si vanno a sviluppare e annidare lieviti e batteri utili a passaggi di altri batch o di altre birre.
Si può anche far maturare una birra all'interno, superando la tumultuosa che magari può avvenire in acciaio con lieviti Saccaromyces, per lavorare successivamente su un passaggio in cui lieviti alternativi e batteri diano il loro contributo. Questa maturazione solitamente si fa su stili tipo oud bruin o altri moderni ibridi stilistici, tra cui quelli che vedono l'aggiunta di frutta.
Con il termine elevazione, invece, si intende qualcosa preso in prestito dal mondo enologico, ovvero un conferimento di note organolettiche di livello idealmente più alto e nobile che solo l'azione dell'ossidazione, complice la microporosità del legno e il suo rilascio di tannini, è in grado di compiere.
Si tratta di un passaggio che spesso vede anche l'apporto di quello che nella botte era contenuto in precedenza su una birra che di per sè è già completa e pronta per il confezionamento: spesso superalcolici (rum, bourbon, whisky, grappa ecc...) o altri prodotti di grande impatto organolettico (sciroppo d'acero, vini fortificati...)
La via che ho scelto per la mia Imperial Stout è, chiaramente, l'elevazione. Non è necessariamente un passaggio che una birra complessa deve compiere, ma è una direzione che si può scegliere di prendere per andare in territorio di ossidazioni aspettandosi qualche miglioramento ulteriore.
REPERIMENTO
Non è facile reperire dei bei caratelli. Ce ne sono in vendita sui classici rivenditori online di materiale homebrewing, ma molto spesso si tratta di qualità non adeguata e spessori non sufficienti.
Per avere un caratello in cui le ossidazioni non siano troppo spinte e il lavoro del legno sia adeguato, non bisogna scendere sotto uno spessore di 30 mm. Con uno spessore inferiore ci può essere uno scambio maggiore di aria con l'esterno con un maggiore "angel's share" (quota degli angeli, ovvero la frazione di liquido che si perde per evaporazione), mentre spessori maggiori sono poco convenienti e possono essere esagerati per questo scopo.
Mi sento di consigliare vivamente l'azienda Mastro Bottaio che di tanto in tanto ha disponibilità di caratelli da 20 L e oltre ma con uno spessore di 30 mm: non ha senso acquistare qualcosa di più scadente nè paraffinata, perchè questo rivestimento interno aiuta ad evitare ossidazioni eccessive ma molto spesso trasforma la botte in legno in un contenitore anonimo, scadendo nel problema contrario.
Il costo di una buona botte da 20 L non va sotto i 100 € circa, per cui se le trovate in giro a meno occorre farsi qualche domanda.
Altra possibilità è quella di acquistare direttamente da alcuni produttori sloveni: ho avuto la fortuna di acquistarne una in questa modalità tramite un gruppo d'acquisto in cui mi sono inserito, ma non saprei dire altro nè mi sembra una strada comoda da percorrere.
Sono diverse le essenze, ovvero i tipi di legno lavorati per ottenere una botte. Sono diverse anche le tostature del legno, ovvero i trattamenti termici che lo rendono più o meno in grado di conferire il proprio apporto organolettico.
Quello che ho scelto è un caratello di 20 L con doghe miste in rovere e acacia: il rovere è l'essenza più utilizzata, adatta per molti tipi di maturazioni e elevazioni, mentre l'acacia ha la caratteristica di essere meno porosa e di conferire aromi delicati.
Bisogna ricordare anche che occorre acquistare una serie di accessori adeguati e che non si possiedono per le "regolari" birre che già si producono.
Se la botte è già predisposta di un foro per il rubinetto, serve acquistarlo. Deve essere d'acciaio, perchè essendo una parte a contatto con l'esterno e contemporaneamente con l'interno non deve fungere da membrana bagnata in grado di far evaporare il liquido e di far interagire lieviti e batteri. Con l'acciaio inox si ha una buona tenuta e una buona pulizia. Occhio a controllare il diametro del foro e del rubinetto: questo il link di quello che ho acquistato io, molto comodo perchè filettato e a diametro variabile per adattarsi al meglio al legno.
Bisogna prevedere anche un tappo per il cocchiume: qui la soluzione migliore è quello in silicone e ce ne sono di classici o di forati (classici o forati). I primi sono adatti a queste elevazioni, i secondi anche ma sarebbero più indicate per fermentazioni. Se un tappo forato è riempito di birra, può andar bene e può funzionare quasi da tappo colmatore, con pro e contro. L'ideale sarebbe, di tanto in tanto, ricolmare la botte ma usando il rubinetto come punto più basso di un tubo a U, aiutandosi con un tubo opportunamente sanificato.
In un primo momento ho provato a usare il tappo il legno in dotazione, ma ho capito subito che sarebbe stato un punto di traspirazione troppo facile, perchè imbevuto di birra era in grado di funzionare per osmosi e richiamare sempre più liquido per l'evaporazione.
Per le operazioni di riempimento e svuotamento è abbastanza indispensabile un sifone automatico, per evitare di splashare e ossidare eccessivamente durante i trasferimenti (link qui).
Altro occorrente è un sistema di mantenimento della botte, che può essere un cavalletto in legno o acciaio. Personalmente mi sono semplicemente procurato una cassa in plastica forata e l'ho inserita in un vascone, così da contenere anche le perdite di liquido dalle doghe senza sporcare il pavimento.
Una volta sistemato il caratello e riempito, non sarà più possibile spostarlo per via del peso, quindi occorre scegliere un posto che sia sostanzialmente definitivo.
LAVAGGIO
Parlando strettamente per una elevazione e per una botte nuova, dobbiamo necessariamente fare qualche passaggio preliminare prima di metterci dentro birra.
Il legno nuovo è ricco di tannini, ovvero composti presenti nelle fibre e responsabili di astringenza e amaro pronunciati. Nel legno sono in dose molto elevata, per cui ci sarà bisogno di scaricare i tannini dalla botte attraverso lavaggi.
- Il primo passaggio consigliato è quello di riempire la botte con acqua calda a 50°C e lasciarla all'interno per 24h circa. Al termine, va svuotata la botte: l'acqua aveva un colore molto scuro, che mi ha fatto capire come fosse indispensabile fare altri passaggi. Inoltre le doghe sembravano perdere molto liquidi (purtroppo ho tenuto in standby questo caratello per molto tempo prima di decidermi a utilizzarlo), ma non mi sono preoccupato molto.
- Il secondo passaggio è stato identico, con acqua calda a 50°C. Acqua ancora molto scura e ancora molte perdite. Ho realizzato che il legno era diventato un po' secco, per cui la cosa da fare era sia riempire di acqua dall'interno che immergere la botte in acqua cercando di fargliela assorbire anche dall'esterno. In questo modo avrei permesso alle fibre del legno di rilassarsi nuovamente ingrossandosi, per poi permettere loro di riadattarsi ai cerchi del caratello fino a riassumere una configurazione nuovamente stabile.
- Ne ho fatto un terzo, sempre con acqua calda a 50°C e immergendo la botte sempre in acqua calda a 50°C. Ci è stata 36h così, poi l'ho tirata fuori dalla vasca, l'ho svuotata e l'ho nuovamente riempita di acqua a 50°C. In questo modo, gonfiandosi e successivamente sgonfiandosi allo svuotamento, ho potuto osservare che una volta asciugatasi la superficie esterna e una volta che le fibre si erano rinforzate colmando vuoti causati da eccessiva essiccazione, non c'erano più perdite. Ho provveduto a svuotarla dopo altre 36h e dopo qualche ora per far asciugare la parte esterna, l'ho trattata con un impregnante ad acqua. È consigliato farlo eventualmente anche prima di tutti i lavaggi se si notano gap o cricche o anche non farlo per niente prevedendo che la botte prima o poi si chiuda, ma nel mio caso, avendo immerso la botte per "resettare" le sue fibre e ridarle forma dopo aver notato secchezza e continue perdite, era indispensabile.
- A questo punto ho fatto due ulteriori lavaggi con acqua calda a 50°C (e siamo a 5) notando che alla fine l'acqua che veniva fuori era chiara e aveva un aroma non più forte e deciso, ma delicato e sottile. Ho capito di aver sufficientemente scaricato la botte dai tannini e che sarebbe stata pronta per dare il suo contributo senza essere troppo invadente.
- A questo punto ho dovuto prendere tempo, perchè non avevo ancora previsto la data in cui cominciare a caratterizzare la botte e successivamente a trasferire la birra dentro. Ho preso acqua calda a 50°C + 2% di sale per 48h, ripetendolo una seconda volta: questo mi ha permesso di guadagnare qualche giorno di tempo per organizzarmi, dando possibilità all'acqua presente in botte (per non farla mai seccare) di essere un ambiente ostico per la crescita di batteri e lieviti presenti nell'ambiente.
L'idea che avevo era di fortificare una Imperial Stout con un superalcolico, con il quale avrei dovuto precedentemente abbonire la botte. Ma è abbastanza chiaro che non potevo certamente acquistare 20 L di bourbon o di grappa. Ho pensato, quindi, ad arrotondare il carattere legnoso di una Imperial Stout con una impronta vinosa. Ho pensato a grandi vini, ma anche qui il discorso dei costi sarebbe schizzato facilmente in alto.
Ho optato, allora, per una base di
- 17L di vino rosato di 11 %alc.,
- 1 L di grappa di 40% alc.
- 1 L di rum di 40% alc.
- 1 L di bourbon di 40% alc.
Nel giorno dello svuotamento, che sarebbe coinciso con il riempimento con la Imperial Stout, ho poi imbottigliato quel vino. La parte alcolica non era piacevolmente legata al vino, ma non era questo l'obiettivo, bensì era dare un contributo di partenza alle fibre del legno e l'aroma che si sentiva allo svuotamento era davvero molto buono e intenso (frutti rossi).
FORMULAZIONE DELLA RICETTA
Prevedendo di far sostare per circa 1 mese il vino "rinforzato" in botte, circa 20 giorni prima della data di presunto svuotamento ho realizzato la mia Imperial Stout.
Non mi sono discostato tantissimo da quanto ho raccontato la scorsa volta a proposito della mia interpretazione dello stile raccontata qui, ma ho apportato diverse piccole modifiche.
Innanzitutto già l'esigenza di elevare una birra del genere in botte fa propendere verso certe scelte: l'eventuale ulteriore attenuazione, la scarsa presenza di carbonazione e la ricchezza di tratti ossidativi fanno scegliere di favorire il contributo maltato e di far rimanere un residuo zuccherino non eccessivamente basso, in modo che la birra sia in grado di sostenersi a dispetto dell'eventuale vuoto di corpo che si potrebbe percepire.
Per questo motivo sono partito da una base di malto Pils al 45%, su cui ho costruito un ammostamento a 68°C di soli 45 minuti nonostante la grande quantità di malti: lo scopo che avevo era quello di lasciare qualche zucchero non fermentabile ma anche qualche amido che potesse darmi una sensazione di corpo maggiore, andando poi direttamente in filtrazione. Con una piccola parte di Caraaroma, del 3%, ho pensato di andare direttamente con nessuno step per destrine, nessun mash out: in questo modo ho stressato per meno tempo e con minori temperature anche i malti tostati, che hanno raggiunto quasi il 15% del totale tra Chocolate, Roasted e Brown. Per la morbidezza ho conteggiato ben il 18% di fiocchi d'orzo e avena, mentre sempre in ottica corpo e lunga maturazione ho scelto di aggiungere anche maltodestrine al 9%. Si tratta di zuccheri che si estraggono durante gli step di alfa amilasi e che sono in grado di conferire una spalla maltata molto solida. Ho completato il tutto con una quota dell'8% di zucchero scuro Cassonade per compensare la grande attenzione avuta per il corpo e le destrine.
Si potrebbe obiettare che non si tratta di una cotta all grain, ma siamo in un campo ad alta gradazione dove altri espedienti sono adottati spesso come aggiunta di zucchero e di estratto di malto. Personalmente ho provato in passato entrambe le aggiunte, per cui non mi scandalizzerei nell'uso anche di questa: per chi dovesse obiettare che si tratta di un prodotto usato anche in pasticceria, direi che essendo la sua origine legata proprio ai cereali forse è l'industria alimentare a doversi fare qualche domanda e non il mondo birrario.
Ad ogni modo...non ho usato lolla di riso, semplicemente perchè durante la cotta ho fatto in modo di mantenere un rapporto acqua/malti vicino al classico numero di 3. La filtrazione è andata molto bene e la cotta è stata anche veloce, nonostante le 2 ore di bollitura che ho dedicato: non lo avevo mai fatto, ma volevo sia concentrare un mosto abbondante in quantità per l'elevato uso di acqua, sia caramellizzare ancora qualche zucchero in vista del periodo in botte.
Per quanto riguarda l'acqua mi sono tenuto su un rapporto cloruri/solfati a favore dei primi per favorire la delicatezza dei malti e il pH di ammostamento è stato di 5,0.
La luppolatura l'ho affidata al Perle per solo 1h di bollitura a dare 30 IBU, che per una birra con lunghi tempi e tanto corpo possono sembrare molti ma non lo sono affatto.
Ho fermentato con molto lievito US05 (4 bustine + slurry fresco di qualche minuto dopo imbottigliamento di kuyt fermentata sempre con US05) per aggredire 22 litri di mosto con OG 1098.
E lo ha fatto in modo davvero esplosivo: dopo un'ora dal pitching già il blow-off era intasato di mosto...e ho dovuto ripulire il frigo dopo aver perso forse un litro. Ma va benissimo così: la temperatura è stata di 18°C e la fermentazione si è esaurita in 5 giorni, portandomi il mosto a quella che poi sarebbe stata la densità finale FG 1028.
Ho provveduto ad alzare la temperatura fino a 21°C per assicurarmi che non fossero rimasti zuccheri fermentabili, per poi concederle una lunga winterizzazione a 5°C per la durata di 18 giorni circa.
Terminata questa fase, la birra mi è sembrata molto molto buona: intensa la parte dei tostati, molto morbida a livello di corpo, profonda e strutturata.
La curiosità di metterla in botte era tanta, ma allo stesso tempo mi sembrava quasi un peccato aggiungere un altro step, un'altra variabile alle sue sorti già abbastanza delineate.
Però stavolta l'occasione era ghiotta (oltre che già programmata e quindi inderogabile!) e ho resistito alle tentazioni di mollare tutto, imbottigliando solo l'ultimo litro che in botte non ci è potuto entrare per spazio.
RIEMPIMENTO
È una delle fasi più eccitanti e delicate: può compromettere tutto come può essere l'inizio di un processo che porta a vette inimmaginabili.
È fondamentale movimentare la birra senza stressarla troppo: per questo è opportuno utilizzare un sifone con asta di travaso per pescare dall'alto del fermentatore (evitando il fondo di lievito) e trasferire la birra adagiandola sul fondo della botte.
L'aroma che si sprigionava dalla botte appena svuotata di vino (imbottigliato poche ore prima) era davvero invitante, con note di frutti rossi e leggeri spunti etilici.
Senza risciacquare minimamente la botte, dopo aver sanificato come al solito il sifone, ho trasferito tutti in botte. Il tappo per il cocchiume (il foro superiore della botte) che avevo era uno di quelli forati e adeguati per l'inserimento di un classico gorgogliatore. Nonostante non dovessi farci una fermentazione, sono riuscito ugualmente a usarlo ma inserendo come liquido una parte di imperial stout e una di grappa per assicurarmi che, ad un calo di temperatura o pressione, quello che la botte avrebbe risucchiato sarebbe stata una sostanza compatibile con il contenuto.
UMIDITÀ, TEMPO E TEMPERATURA
In realtà quello che è avvenuto è stata anche una nuova fermentazione, del tutto imprevista: il vino con cui ho riempito la botte evidentemente conteneva ancora zuccheri (fruttosio), che per qualche motivo tecnico sono stati messi in standby probabilmente con utilizzo di pastorizzazione o con uso di solfiti. In questo modo non conteneva più lievito ma i suoi zuccheri, interagendo con il US05, sono stati fermentati.
Non saprei calcolare quanto questa sia andata avanti, ma la schiumetta nel gorgogliatore parla da sè.
Una volta espulsa un po' di CO2 prodotta (una parte, in verità, era contenuta ovviamente già nella Imperial Stout che era maturata a freddo prima del trasferimento in botte), la botte si è comportata come un contenitore stagno (almeno a livello generale): i fori si sono gonfiati a dovere e il contenitore è in leggera pressione positiva, per cui quello che fuoriesce attraverso microporosità del legno è quello che avviene per ulteriori sbalzi di pressione e temperature. Quando temperatura, pressione e umidità aumentano, il contenuto del gorgogliatore sale, mentre quando scendono anche il livello scende, per cui la soluzione del tappo con gorgogliatore non mi sembra per nulla cattiva perchè permette sia di osservare il comportamente che di immagazzinare una piccolissima parte di CO2 tra il livello della birra e quello della birra nel gorgogliatore che la botte richiama a sè quando si comprime.
Molto importante è la gestione della temperatura e dell'umidità. La mia situazione a giugno è stata con:
- temperatura tra 18-23°C
- umidità tra 65-70%
Per quanto riguarda l'umidità, non ho notato una grande perdita di litri: al momento dell'imbottigliamento ho notato di aver perso forse 1 litro scarso. Non ho voluto mai rabboccare, perchè come prima volta non volevo rischiare di farlo nel modo sbagliato e areare eccessivamente prendendo proprio il rischio opposto.
D'altra parte, però, la mia cantina è ben areata. Questo dovrebbe essere un vantaggio perchè in questo modo l'aria non è ferma ma circola, assicurando una bassa presenza di agenti indesiderati come batteri (penso agli acetici), mia grande paura.
IMBOTTIGLIAMENTO
Dopo circa 4 settimane ho fatto un primo assaggio: la birra mi è sembrata prendere una buona strada, soprattutto perchè non ho avvertito nè astringenza nè acetico. Dato che queste erano quello che mi preoccupava, avendo trovato una birra vispa e arricchita da aromi vinosi, ho deciso di tenerla altre 2 settimane.
Dopo un totale di 6 settimane (35 giorni in botte), quindi, ho pensato di imbottigliare. Questa, però, è una decisione che va presa insieme ad un'altra, ovvero a quale birra metterci in botte una volta svuotata.
Sì, perchè è praticamente obbligatorio tenerla sempre piena con qualcosa, pena non solo la perdita di aromi e sapori ma soprattutto l'infestamento di questa da parte di lieviti e batteri indesiderati.
Si potrebbe tenere la botte ferma dopo averla opportunamente lavata lasciandola piena di una soluzione di acqua e sale, ma questa va sempre ricambiata e inoltre l'effetto finale è quello di uno scaricamento ulteriore di una botte che invece, essendo nuova, ha tutte le carte in regola per cedere le più nobili note aromatiche.
Non volevo, però, nel bel mezzo del caldo mese di luglio, fare un'altra birra impegnativa dal grado alcolico elevato. Inoltre non potevo sfruttare un periodo di relativa temperature mite. Dovevo trovare una soluzione che non pregiudicasse nè la botte, nè la mia poca disponibilità di tempo libero.
Dato che bere 20 L di Imperial Stout e farne poi altri 20 L non è per niente una cosa facile, ho pensato
che avrei potuto imbottigliare solo una parte e destinare l'altra parte ad accogliere altra birra, in una sorta di metodo Solera, anche se ridotto (qui una sintetica spiegazione).
Da qualche giorno avevo concluso con il mio amico Marco gli assaggi per il concorso di homebrewing Damned in Black, dove sono giunte 20 imperial stout. Ci sono state birre con qualche difetto, ma poche realmente problematiche: quello che ho pensato di fare è di utilizzare le bottiglie non aperte delle finaliste al Damned in Black e delle birre con punteggi più alti per rabboccare i 10 L che avrei imbottigliato.
In questo modo ho inserito in botte birra ancora fresca che può ulteriormente assorbire note sia dalla birra elevata che dalla botte stessa. Tra l'altro, ad ogni passaggio del tempo, una botte tende pian piano a rilasciare sempre meno il suo contributo a parità di tempo. Nel mio caso, invece, avevo bisogno di stare un bel po' di tempo senza produrre, per cui ho riflettuto sul fatto che la birra all'interno avrei potuto farla elevare anche per un tempo maggiore. Ad oggi sono a 2 mesi (9 settimane) e non mi sembra ancora giunto il momento adeguato. Proverò a fare qualche altro assaggio e a valutare, ma stavolta dovrò sicuramente preparare una birra nuova che possa andare a compiere un terzo passaggio (ho pensato a un Barley Wine).
GESTIONE
Prima di parlare del risultato finale, è d'obbligo spendere qualche parola sulla prospettiva: ogni botte, soprattutto una al primo utilizzo, va programmata in ottica futura. Basti pensare che il suo contributo organolettico in termini di tannini e aromi si va affievolendo nel tempo perchè la botte lo cede alla birra, ma contemporaneamente ne assorbe aromi e sapori che poi è in grado di rilasciare ad una successiva birra che ospiterà.
Per cui è opportuno partire con birre molto complesse già di proprio e che giovano solo da ossidazione e contributo del legno, per finire a birre più delicate che hanno bisogno di piccoli contributi mirati per ricevere profondità e carattere ereditandole dalla storia che il legno della botte è capace di donare.
Solitamente si comincia a usare una botte nuova (o reduce dall'utilizzo per grandi distillati) ospitandovi birre molto scure e molto alcoliche, scalando via via verso birre chiare e leggere e infine, quando il legno non ha molto altro da esprimere ma sa funzionare quasi solo come materiale microtraspirante si destina una botte a fermentazioni ibride, spontanee e/o con utilizzo di frutta in purezza.
Non c'è una regola precisa sui vari step da compiere, perchè dipende anche dall'essenza, dallo stato di salute della botte (a meno che non abbia subito infezioni e sia necessario destinarla a qualche uso invece che buttarla, è sbagliato e inutile destinarla da subito a birre sour ) e anche dalla cantina che si ha a disposizione: per elevazione va bene una cantina "statica" con temperature per lo più fisse e intorno ai 18-20°C, mentre per fermentazioni ibride o spontanee può giovare una temperatura variabile ma sempre bassa (12-18°C circa).
Non è mio obiettivo dilungarmi ulteriormente su questo discorso, perchè voglio presentare un'esperienza pratica e poi perchè nel cap. 14 di Fare la birra in casa ho contribuito a dettagliare in maniera schematica e (spero) chiara le operazioni da fare e l'approccio da avere per lavorare con delle botti.
Nel caso non bastasse, consiglio questi due utilissimi contributi di Mattia Pogliani e di Marco de Grazia realizzati poco tempo fa.
DEGUSTAZIONE
Mi avvicino allo stappo della birra base e di quella elevata in botte con grandi aspettative.
La birra di partenza mi era sembrata molto buona e con un po' di ansia ho riempito la botte in attesa di capire se il tempo e la gestione della cantina potessero migliorarla ancora.
La Imperial Stout (in foto a sinistra) ha una schiuma presente ma blanda: il motivo è che, semplicemente, essendo pochissime le bottiglie riempite, non ho neppure aggiunto lo zucchero di priming, fidandomi della CO2 disciolta durante la maturazione e scegliendo una carbonazione comunque bassa. A livello estetico va abbastanza bene e anche per quanto riguarda la birra in generale credo di aver fatto una scelta giusta.
L'aroma è preponderante di cioccolato fondente, senza punte caffettose particolari ma con un bel ventaglio che va dal cacao in fava alla tavoletta di cacao amaro. Nessuna presenza di esteri, il profilo è pulito e netto. Non avevo neppure sanitizzato le poche bottiglie perchè non pensavo avanzasse birra da imbottigliare...ma nonostante questo, non ci sono neppure segni di cattiva pulizia o rifermentazione andata storta.
In bocca prevale ancora il cioccolato, con una bella profondità e un leggerissimo accenno a caramello. Nessuna bruciatura, nessuna nota astringente percepita, nessun aspetto che la rende stonata o che vede una componente spiccare sulle altre. Sono abbastanza meravigliato dal sentirla sì con un certo corpo ma molto bevibile, nonostante la vagonata di avena e maltodestrine e l'ammostamento alto. La sostanza c'è ma la bevuta non ne viene mai scoraggiata. Il finale è lungo e il sorso sembra avere una durata molto abbondante, nonostante la birra non sia masticabile o troppo piena.
La Barrel Aged Imperial Stout (in foto a destra) è già una bella sorpresa nell'aspetto. Si presenta con una schiuma decisamente bella, color cappuccino e abbastanza evidente e persistente nel bicchiere. Qui il priming l'ho fatto ma in maniera blanda, sui 4 g/l perchè in botte era sicuramente diventata piatta e serviva una ricarica.
Al naso si sente già la differenza: la parte del cacao è leggermente smorzata e compare ad accompagnarla una nota vanigliata che richiama abbastanza nettamente il legno, ricordando quello di sandalo e di rovere. Molto piacevole l'aroma, così come ben armonizzata è la composizione che viene fuori dall'assaggio: qui le punte di cacao e cioccolato sono moderate, ma con qualche richiamo a liquore nocino, amaro alle erbe e qualche accenno di caffè moka. Il finale sembra meno lungo del previsto così come il corpo, leggermente più scarico per via di una presumibile scia di fermentazione avvenuta in botte per via del vino residuo rimasto tra le doghe. A proposito del vino, il suo contributo si sente appena proprio nel finale, con un leggero vinoso che in un precedente assaggio subito dopo la rifermentazione avevo trovato molto netto ma che ora riesco a distinguere con difficoltà. Non si trattava di un grande vino, per cui il tutto è giustificato.
Se la domanda è se è valsa la pena procedere in questo modo, la risposta è sì. Sicuramente tenere prima del vino "rinforzato" è stata una buona esercitazione per cominciare a prendere pratica con la botte ed evitare di combinare guai con la birra che è stata destinata per finirci dentro.
Probabilmente non è il migliore dei liquidi con cui "innaffiarla", ma con la stessa probabilità direi che è difficile e soprattutto antieconomico versarci dentro 20 L di bourbon (il più economico costa intorno ai 10 €/L !) per provare a passarci poi una birra dentro. È una follia a cui non voglio neppure pensare.
L'unico modo per entrare nel mondo del "barrel aging" senza farsi rapire per sempre (cosa che mi spaventa a morte) è quello di adoperare queste botti senza pretese di raggiungere un livello elevatissimo come può succedere quando si beve qualche grande Imperial Stout americana che ha subito questo destino. O per lo meno, se non ci si vuol ritrovare senza finanze, è lecito non aspettarselo. Non escludo che, così come avviene nel mondo della fermentazione e imbottigliamento in isobarico, per qualcuno valga la pena spendere belle cifre per emulare questo tipo di birre.
A me, personalmente, interessava capire come si procedesse e realizzare quello che da anni avevo solo immaginato, ovvero gestire una piccola botte e cominciare a farla vivere di vita propria, destinandole una serie di birre nel tempo.
CONCLUSIONI
Mi è piaciuta moltissimo la versione base della Imperial Stout, devo essere sincero e allo stesso tempo oggettivo: non credevo di beccarla in modo abbastanza netto. Per la versione Barrel Aged Imperial Stout le cose sono andate bene perchè la birra si è arricchita di sfumature aromatiche che la rendono più docile, senza particolari ossidazioni. Segno che la botte ha retto molto bene l'impatto con tempo, temperatura e cantina nonostante temessi di essere al limite del consentito.
L'avventura con la botte è appena cominciata, ma prometto di non farmi prendere troppo la mano (non riuscirei a gestirne altre e sarà un grande sforzo già gestire questa).
Quello che è programmato per questo caratello è più o meno questa scaletta:
Imperial Stout (1 mese)
Imperial Stout (2,5 mesi)
Barley Wine (4 mesi)
Dubbel (5 mesi)
Tripel (6 mesi)
Saison (6 mesi)
Farmhouse (6 mesi)
p-Lambic ecc...
Ci vorranno anni per arrivare agli step finali e destinare questo caratello, nei suoi ultimi anni, ad una vita "acida"...ma almeno adesso ho cominciato!
Cheers!
Bellissimo leggere questa esperienza , grande Angelo! Adesso cosa staziona nella botte? Come pensi possa evolversi nel tempo il contributo del legno nel passaggio dalle "normali" alle "vita acida" ?
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