Tra le mura di Roppelt

Sono in Franconia e giro in auto per bere tra le keller che più mi affascinano per qualità della birra, astmosfera, panorama.
Arrivo in primissima mattinata a Stiebarlimbach, località amena della Franconia centrale, che però mi risuona come nota perchè, per la terza volta, sto per andare a bere qualche boccale di kellerbier da Roppelt.

La sua keller è immersa in un bosco di meli e querce, non è decadente o vetusta, ma recente anche se non lo sembra troppo. Sono le 10.30, hanno già aperto la casetta da mezz'ora, ma la pace che risuona nell'area del parcheggio e lo stemma di Roppelt che regna sulla facciata dello stabile (stabile...un piccolo edificio con tetto a spiovente) mi attirano tanto da provare a fare una passeggiata nelle vicinanze. Nei pressi di un birrificio c'è sempre qualcosa di interessante da carpire dell'anima delle birre che si producono, anche semplicemente osservando i ritmi e i movimenti delle persone coinvolte.

Nell'edificio su cui c'è il nome Roppelt, in realtà, c'è qualcosa di più simile a una stalla che a un'area produttiva. E infatti il birrificio vero e proprio si nasconde in un passaggio che conduce a uno spiazzo, dove da una porta viene fuori colui che presumibilmente mi sembrerà il birraio. Mi presento con il mio tedesco di base, confessando che ero lì per la keller e che per caso ho provato a vedere se questo fosse realmente il birrificio. Con poche e semplici domande riesco a strappare qualche risposta, a entrare, facendomi concedere una brevissima visita, premettendo sempre la voglia di non disturbare per nulla il suo lavoro. 


La chiacchierata è stata molto interessante: pur non comprendendo il 100% di quanto mi veniva detto, ho compreso benissimo alcuni punti salienti nella produzione delle birre di Roppelt.

  • impianto in acciaio
    Quando pensiamo ai birrifici della Franconia, viene facile immaginare vecchi impianti impolverati, con livello di igiene appena sufficiente, grande rotazione dei batch per via dell'alto consumo, rame come materiale privilegiato per l'impianto di cottura. Quello che ho visto, invece, è un impianto in acciaio, non particolarmente usurato, pulito e anche bello da vedere, incastonato in un ambiente in mattonelle abbastanza curato. Tutto il contrario di quello a cui siamo abituati, eppure parliamo di un birrificio tradizionale.



  • nessuna decozione
    Anche qui, come da Elch Brau (che ho visitato giusto con uno sguardo, dopo qualche chiacchiera con il birraio) non c'è decozione. Sembra strano pensarlo, ma dovremmo tararci sul fatto che ormai è molto più frequente nelle aree ancor più rurali della Germania, come alcuni angoli di Franconia orientale (Svizzera Francona) e di Alto Palatinato (Baviera orientale, zona delle zoigl). Saranno le materie prime, invece, a conferire gusti profondi e assolutamente caratteristici. Quali materie prime non è dato saperlo, l'acqua sicuramente ha un ruolo nell'esaltare molte componenti maltate, così come il lievito, che però spesso è comune tra più birrifici perchè viene acquistato da una specie di grandi distributori, che lo producono per grandi birrifici ma a cui possono attingere un po' tutti.

  • classici malti Weyermann
    I malti che utilizzano da Roppelt non sono di chissà quale produttore irrintracciabile, ma provengono semplicemente da Weyermann. La keller è realizzata con un pils ma sia in questa che nella märzen ci sono alcuni malti caramello (mi ha nominato Carahelles). Nulla di più semplice, eppure parliamo molto spesso di quanto la decozione possa essere decisiva in queste lager tradizionali. Non parliamo di un produttore antichissimo, ma neppure dell'ultimo dei moderni: le birre di Roppelt sono sicuramente il controesempio ideale per sconfessare l'uso indispensabile di qualsiasi tecnica tradizionale per ottenere una keller autentica.



  • controllo del pH e analisi del mosto
    Il mosto viene trattato con cura anche qui: la misura del pH è fondamentale, il che non è scontato per un birrificio di queste parti, e ancor meno scontato è stato osservare l'utilizzo di tamponi per effettuare semplici analisi di laboratorio, mi pare di aver capito sul mosto di partenza. In effetti, è uno dei modi più utili per capire se una cotta è destinata ad avere lunga shelf life (in assenza di contaminanti) o deve avere la precedenza su altre e terminare la sua vita il prima possibile. Si vede che Roppelt ha un approccio più ragionato sulla produzione, il che gli consente spesso di esportare, come anche in Italia possiamo confermare.




  • fermentazione in pressione
    Bello osservare i fermentatori, allungati in alto ma semplicissimi, ma decisamente chiusi: non c'è una koelschip di raffreddamento ma uno scambiatore di calore, non ci sono vasche aperte ma fermentatori a tenuta. La fermentazione parte già con una certa pressione imposta, per cui non possiamo associare la loro idea di keller all'immaginario delle Ungespundet, ovvero a keller fermentate con poca o nulla pressione nel tino e appena carbonate per il servizio da botticella. E di botticelle qui ne fanno anche molte, ma si lavora molto spesso in pressione, già dalle primissime ore successive all'inoculo del lievito, e anche questo va contro molte delle supposizioni che abbiamo sulle keller.



  • basse temperature di fermentazione
    Infine, parlando di temperature di fermentazione, si sta rigorosamente bassi su 9°C per i primi giorni. Solo successivamente si procede salendo ancora, a piccoli passi di 1°C: la vitalità del lievito sicuramente è un fattore importante che consente a queste fermentazioni di concludersi ugualmente in breve tempo nonostante le temperature non elevate, ma di sicuro questi valori alla lunga portano anche sapori più definiti e una generale pulizia. Non è una di quelle keller nota per il suo apporto di composti dello zolfo, possibili da ritrovare in alcune interpretazioni ma qui del tutto assenti, fortunatamente. 

La visita è durata quasi un'ora: sono stato accolto davvero bene e ho potuto curiosare in uno dei birrifici che meglio interpretano le keller senza snaturarle e slegarle dal territorio e dal concetto di birra a cui questo nome fa riferimento.

L'atmosfera affascinante, la quiete del villaggio e la fortuna avuta nell'incontrare il birraio sono ricordi indelebili che mi porto dietro dopo questa esperienza.



E le keller bevute dopo tra le panche, dal deciso impatto mielato, avevano un sapore ancora più magico!

Cheers

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