Praga, le migliori birre e gli ultimi birrifici imperdibili

Praga merita sempre una visita, per la sua storia, bellezza, fascino e, ovviamente, per le birre. Potendo contare oggi su più di cinquanta birrifici, però, meglio indirizzarsi.
Devo confessare che questo ritorno a Praga (per me è la terza volta già) non è stato un viaggio birrario pianificato con grande anticipo, come solitamente faccio. Ma l'occasione fa l'uomo ladro e complice qualche approfondimento fatto negli ultimi tempi, a suon di assaggi in bottiglia, e dopo averne parlato anche su Mashout! Podcast con Francesco Antonelli, Daniele Cogliati e Daniele Iuppariello, mi sono fatto invogliare dalla giusta compagnia per tornare a esplorare quello che nel frattempo, dall'ultimo viaggio a Praga di 7 anni fa, si è sviluppato in città.


INTRODUZIONE

Per una lista dei luoghi da visitare per bere bene bisogna assolutamente scegliere con accuratezza, evitando postacci turistici e locande non direttamente connesse ai singoli produttori: solo in questo modo si evita di ritrovarsi impianti non ben gestiti e ai conseguenti strascichi di diacetile che, come pochi sanno, dipendono molto spesso da contaminazioni di pediococco nelle vie e non soltanto da cattive fermentazioni (i ceppi di lievito cechi non sono sempre i colpevoli!) o fermentazioni mal gestite.

In realtà la preparazione non è stata casuale, ma l'accuratezza è frutto del contributo fondamentale del mio amico Paolo, folle amante di Praga, con cui ho condiviso tante bevute e un viaggio in avanscoperta a Brno.
Dopo le numerose incursioni (siamo in doppia cifra, non si scherza mica) nella capitale ceca e la cernita tra i tantissimi locali presenti, si può affermare che la scena è molto cambiata dai primi anni 2000. 


Molti birrifici, anche validi, hanno chiuso (Novoměstský) o sono passati di mano (U Medvídků, Pivovarsky Dum) e oggi, con la scena ancora e sempre più in movimento (non abbiamo avuto tempo di testare poche altre novità) questa selezione dovrebbe essere delle migliori birrerie/birrifici di Praga. 
Con Paolo in questi anni ci siamo sempre confrontati sulle reciproche percezioni sulla scena ceca e non ci spiegavamo come mai fosse così in disparte e fuori dai radar degli appassionati. La situazione ormai si è evoluta e ora è quasi il centro di un ritrovato interesse per le lager tradizionali.


Qualche informazione preliminare, prima di tuffarsi nel resoconto del viaggio, è quindi obbligatoria: la maggior parte delle vycepni che si bevono sono svetly, ovvero chiare, e possono cambiare abbastanza come profilo a seconda che siano 10°, 11° o 12°, dove il numero indica il grado Plato del mosto di partenza e indirettamente ci parla del grado alcolico (dai 4% ai 5% circa). A salire incontriamo le svetly lezak più classiche, ovvero l'equivalente di quello che a volte si chiama pils (e che ha come riferimento la Pilsner Urquell), mentre le scure tmavè e ambrate polotmavè spaziano molto tra le gradazioni e questo fa sì che per queste scure sia più il colore a identificarle.

Qui lo specchietto che avevo usato qualche tempo fa per fare chiarezza:

Svetly Vycepni 9°-10°-11°/ Desitka - Jedenecka
Svetly Ležák  12°-13°-14°
Vidensky  12°-13°
Polotmavè 13°-14°
Tmavè 11°-12°-13°
Polotmavè Specialni 15°-16°-17°


LE MIGLIORI BIRRE DI PRAGA

Únětický è la prima tappa in assoluto appena arrivato a Praga. A dir la verità non è in città ma si trova nel paese di Unetice, borgo a circa 15 km dal centro della capitale. Ci dedicherò un post più specifico perchè ho avuto modo di visitare il birrificio con cura e di parlare a lungo con il birraio. A fine tour, abbiamo bevuto qualcosa al volo nella locanda, incastonata in un locale che sembra essere un antico refettorio, proprio perchè il birrificio è all'interno di un monastero. Il luogo è un ibrido tra antico e moderno e un po' stona, ma poi la linea di spine con "side pull" riporta su il morale.


Tra le produzioni fisse spicca sicuramente la Únětické Pivo 10°, corrispondente alla più leggera interpretazione delle vycepni. L'aspetto è leggiadro, con una schiuma pannosa e il colore giallo paglierino. In aroma emerge con fascino un erbaceo linfatico notevole, sprigionato dai luppoli cechi Saaz, Sladek e l'innovativo Agnus, accompagnato da tenui fragranze di fieno e paglia. Il tessuto maltato si mostra in bocca con un miele millefiori gradevolissimo, smorzato ancora da un amaro erbaceo lungo e sottile. Una vera prelibatezza dal carattere luppolato ma nobile e inquadrato.


Non demerita neppure la Únětické Pivo 12°, più maltata e più carica anche a livello cromatico, che lancia aromi di crosta di pane ma anche un particolare richiamo fruttato, quasi di pesca o frutta a polpa gialla. Sbaglia chi crede che queste lager siano monocorde e prevedibili, perché in ogni versione di diverso grado alcolico, anche dello stesso produttore, si nascondono caratteri anche molto diversi.


Una nota merita anche la Únětické Pivo Filtrované 10,7, dizione alquanto bizzarra perché solitamente tutti i gradi plato, secondo l'usanza ceca, donano il nome alla birra con arrotondamento per difetto. Qui il numero è tal quale ed è un'eccezione, trattandosi di una birra filtrata e non pastorizzata e quindi forse costituendo una birra da distinguere da tutto il resto. Gli aromi non sono malvagi, anche se a primo impatto non c'è la freschezza luppolata nè il ventaglio dei malti, ma solo qualche richiamo al cereale poco elegante.
Il luogo merita moltissimo, ricorda situazioni bucoliche che ho incontrato solo in Franconia, con le dovute differenze: qui siamo al cospetto di un birrificio non piccolo, che produce molto e che ha un passato glorioso, probabilmente anche un futuro ancor più interessante.

Spostandosi dall'altra parte di Praga, stavolta a ben 25km dal centro, c'è un altro grande birrificio. Grande per dimensioni e gamma di produzioni, meno performante in qualità di birre. Me ne ero accorto già con gli assaggi di birra in PET qualche mese fa, ma ovviamente bisogna tastare e testare di persona, quando possibile.


Il luogo è nel paese omonimo di Uhříněves, inglobato anch'esso nella mobilità urbana praghese quindi relativamente facile da raggiungere. Nel ristorante attiguo al birrificio, un luogo favoloso con enormi travi di legno a sostegno delle pareti e dei piani superiori, domina un banco spine leggermente dissonante, con birre della tradizione ma anche golden ale (?), su uno sfondo illuminato da led e cemento. 


Lasciando perdere dettagli stilistici, le prime birre sembrano comunque più che bevibili. La loro birra più luppolata è la Alois 11, che nonostante sia molto amara riesce ad esprimere anche un certo fronte maltato, lasciando però una grande velocità di bevuta. Un filo più bilanciata sembra la Alois 12, caratterizzata da un erbaceo meno invadente ma in generale anche qui c'è un certo equilibrio. Tutte birre alquanto semplici, compresa la polotmavè Alois 13, blanda sul profilo dei malti ma sempre abbastanza facile da bere. Sono birre senza alcun difetto, sia chiaro, ma che non si caratterizzano a sufficienza risultando molto equilibrate, quasi come se mancasse un tocco in più su malto e luppolo.
Andiamo via comunque soddisfatti, senza dubbio.

Cambiando decisamente genere, ci dirigiamo verso Hostivař H1, un brewpub di nuovissima concezione in quartiere molto periferico. Grandissimi gli spazi, un birrificio con impianto luccicante a vista che chiamano H1, perfino una seconda sede con secondo impianto e spin off con panificio e pasticceria di qualità denominato H2. Il brewpub principale ha un design giovane, un tantino adolescenziale nelle grafiche industrial. 


Le birre alla apina sono molte, ma mi concentro sulla vycepni Světlá 11 che, come anche tutte le altre della casa, si caratterizza moltissimo per una evidente velatura e un tratto decisamente linfatico nella luppolatura. L'amaro sempre molto accentuato, forse la stessa velatura nasconde anche una certa presenza di lievito in sospensione e del suo carattere più amaro, ma la luppolatura è sicuramente la responsabile di un taglio molto resinoso. Niente male, birre molto audaci ma tutto sommato affini alla scuola ceca, senza intrusioni moderniste di tipo qualitativo, solo un diverso uso dei classici.


Come ultimissima tappa della sera, ci rechiamo nel quartiere Karlin, zona molto viva e notturna, per bere qualcosa da Dva Kohouti. Si tratta di un luogo che è sì un birrificio, ma decisamente atipico e per due motivi. Innanzitutto per le dimensioni, molto piccolo e circoscritto in un angolo, con piccoli fermentatori dietro le spine, e poi perchè è molto più un ambiente simile a una discoteca che a un brewpub, essendoci sempre musica ad alto volume e tantissimi giovani.


Un'ulteriore particolare è il servizio: alcune birre sono regolarmente presenti al banco, altre vengono direttamente spillate a caduta dai fermentatori alle spalle a temperature molto basse. Mi è capitata la loro vycepni Místní pivo 12°, non male ma molto molto torbida e grezza, probabilmente un po' immatura considerando il servizio dai tank. Il locale è molto bello, la scelta di birre non male, spiccano anche sour e birre alla frutta di stampo moderno: è un po' l'avanguardia che resta abbastanza fedele alla tradizione, ma da cui vuole senza dubbio distaccarsi, o almeno questo è il messaggio che traspare. 


Ed è uno dei pochissimi posti in città aperti fino a tardissimo, il che lo rende ideale per un'ultima bevuta.

L'indomani era il giorno di una visita programmata da Vinohradský. Personalmente ci ero stato 7 anni fa ed ero rimasto molto soddisfatto, per le birre e la location a suo modo alternativa, per il modo di porsi producendo birre tradizionali leggermente svecchiate e alleggerite dalla pienezza di alcune interpretazioni. Il birrificio è in procinto di trasferirsi e forse di sdoppiarsi in qualche altro progetto, ma uno dei birrai non ci svela nulla. In compenso, ci fa visitare l'intero impianto: anche qua siamo al cospetto di alcuni fermentatori a vasca aperta e di molti tank orizzontali di maturazione. 


Le birre sono davvero notevoli, già lo erano quelle bevute in lattina qualche mese fa, ma qui spillate direttamente sul posto diventano davvero eccezionali. Bevo una birra che mi fa letteralmente impazzire, la loro Vinohradská 11 Svetly Lezak. L'aroma di luppolo è davvero penetrante, nonostante il carattere nobile l'intensità è elevata e quel mix di erbaceo e linfatico entra di prepotenza nelle narici. Faccio quasi fatica a cominciare a berla perchè è davvero ipnotico. La birra in sè si dimostra ottima anche in bocca, con la solita leggerezza di Vinohradsky nell'interpretare il mielato tipico delle ceche e la solita pulizia organolettica, priva di eccessi maltati o di spigoli fenolici da lievito: l'amaro è abbastanza intenso ma non punge mai, restando in sfondo senza ammazzare il leggero miele. Una birra capolavoro, bevuta anche in versione fresh hop con luppolo Saaz fresco, ma che paradossalmente non era all'altezza della 11 classica. 
Una variazione interessante è stata anche la Vinohradská 9, molto meno luppolata e chiaramente molto più leggera, ma una ottima birra per equilibrio e supporto maltato. 


Non male anche la Svatováclavská 13, una lezak 13 dove il luppolo è più leggero della 11 e dove regna più equilibrio sul fronte maltato. Inutile parlare delle loro luppolate, assaggiate al volo e anche valide, ma di certo non erano l'oggetto di questo viaggio. Da quel momento in poi sarei stato altre 3 volte da Vinohradsky, alla fine e all'inizio di tutte le giornate, avendo l'alloggio a poche centinaia di metri. 


Da sciocchi non sfruttare l'occasione per avvicinarsi ancora di più a queste ottime birre.

Ma il beer hunting continua e tocca anche ripassare dal centro per ripassare qualche posto del cuore. Immancabile un salto da U Fleků, il luogo in cui mi sono innamorato 12 anni fa delle tmavè, Flekovský ležák 13°, ma che negli ultimi assaggi mi ha lasciato molto deluso, sia la scorsa volta che questa: aroma di cacao, vaniglia, budino al cioccolato e un carattere dozzinale che la avvicina più sul fronte di una birra "pastry" che a una vera tmavè, fa male dirlo ma purtroppo non merita una visita per questo. Piuttosto, volevo assaggiare la chiara della casa, Světlý ležák 13°, prodotta per la prima volta durante i primi lockdown per imbottigliare e vendere durante le chiusure dei locali, appena seconda in lista birra dopo chissà quanti secoli di produzione. 


È una 13° e dimostra un bel carattere, senza alcun difetto e con un bel miele in bocca. Una sorpresa positiva dopo un'altra delusione sul fronte scuro (a cui però ero preparato).

Altra tmavè di vecchia scuola è quella che ribevo da U Tří růží, la Tmavý speciál: confesso di averla presa come standard dall'ultima volta che ci sono stato e ribadisco la sua bontà, con leggero torrefatto e un carattere molto molto pulito, elegante, senza sbuffi cafoni di cacao e cioccolato. Solo un brevissimo accenno iniziale di diacetile non mi fa gridare al miracolo, ma non era per nulla identificabile con facilità e non ne risentiva per nulla la birra.


La bevuta peggiore, invece, e resta l'unica davvero pessima da segnalare in tutto quello che abbiamo bevuto, è la polotmave di Řeporyje. Ci arriviamo dopo forse 1h di bus, spostandoci in un villaggio nella primissima periferia di Praga. Sarà che all'apertura le nostre erano le prime birre e le vie erano poco pulite (in cuor mio è quel che mi auguro), ma la Řeporyjská Polotmavá 12° era davvero una bomba di diacetile impossibile da bere. La stessa birra, mi assicura Paolo, fosse ottima un paio d'anni prima, ma che a questo giro il diacetile l'aveva resa imbevibile. Il locale del birrificio non sembrava neppure particolarmente concentrato sulla birra, ma una sorta di locale serale che punta alla musica, per cui nonostante avessimo avuto buone segnalazioni, siamo dovuti andare via per disperazione.


Sorprendente, invece, il bilancio della visita da Prokopák, un brewpub vecchio stampo, situato nella piccola valle di Prokop in corrispondenza del vecchio villaggio di Klukovice, un tempo fuori città ma ora sembra abbastanza collegato con il resto della rete urbana, tanto da essere raggiungibile con qualche mezzo. Il birrificio ha aperto i battenti nel 2017 e in passato è stata una sala da ballo, poi un rifugio di guerra, una falegnameria, un alimentari e infine birrificio. 


Il luogo sembra simile più a un birrificio della Franconia, essendo a ridosso di un boschetto e accanto a ruderi e vecchi edifici religiosi. Alle spine nessun nome, nessuna segnalazione di birre, solo panche in legno, stampe sulle pareti gialline, non un filo di musica e giusto qualche gruppetto che parla del più e del meno. Fantastico.


A dispetto delle apparenze, le birre sembrano davvero molto buone: la Kluk, ovvero la 10°, è qualcosa di inaspettato nella sua leggera freschezza fruttata con toni di albicocca (il luppolo usato è il ceco Harmonie), sicuramente tra le migliori interpretazioni luppolate di vycepni assaggiate. Niente male neppure la Tatin, svetly da 12°, molto pulita e senza quel tipico polveroso da luppolo Saaz (è usato ance il Premiant), davvero molto scorrevole e per nulla eccessiva. C'è anche la Panìmàma, polotmavè piena di sapori tostati ma molto molto secca, al confine con una dunkel più generosa (anche qui Saaz ma anche Premiant e Harmonie). Tutte prodotte in doppia decozione, così come la speciale autunnale Svatováclavský (sempre dedicata a San Venceslao, patrono della nazione, che si festeggia a inizio novembre), una svetly da 13 dove il luppolo neozelandese Saturn dà uno sprint leggermente più agrumato. 

Sembra un birrificio molto interessante, fedele alla struttura tradizionale ma capace di arricchire con luppoli inusuali senza snaturare l'essenza delle birre di base. Davvero una scoperta appagante, che fa capire come molte cose qui sembrino immobili nel tempo ma in realtà si stanno lentamente ammodernando, con un modo di fare tutto loro.

Uno dei luoghi dove volevo andare a tutti i costi è Bašta. Si tratta di un progetto che si definisce birrificio, anche se gli impianti non sono visibili facilmente in quanto situati nel piano inferiore di quello che il pub, un locale di quartiere, come si dichiarano apertamente, fatto da stanze con finestroni che danno sullo stradone di Taborska, quasi in centro.


Locale austero, dicevamo, così come la taplist con quattro vie, su cui le novità raramente si affacciano, molto più bevibili da bottiglia o lattina da portare via.
La birra che avevo apprezzato fortunatamente è quella fissa, la Kroužkův ležák, una svetly molto molto gustosa, con qualche connessioni con le keller francone: molti richiami di crema pasticcera, con aromi floreali ed erbacei ed in bocca un maltato molto profondo e morbido, che nonostante il color oro carico non riserva nessuna botta caramellata. Mi era sembrata ancor più fenomenale in lattina, dal vivo leggermente meno ma sta di fatto che è un gran bel bere. Più maltata di altre pari grado, ma di livello davvero buono.


Il birrificio anni fa pare fosse situato accanto alla porta di ingresso, dove ora invece sono le spine. Con molta probabilità si trova al livello inferiore, dove c'è anche una stanza adibita a cella dei tank da cui viene spillata direttamente la birra mentre un ragazzo si assicura delle varie pressioni.

Niente male anche il livello di un altro brewpub, Bubeneč. Qui l'aspetto occhieggia più al contemporaneo, con un localino piccolo in cui c'è sia un piccolo impianto sia qualche tavolo, sui cui la gente staziona molto più che in altri posti, probabilmente perchè in effetti la cucina sembra superiore alla media delle birrerie.


Alla spina le birre sono semplicemente indicate con un numero, per il resto c'è la classica lavagna. Purtroppo non riesco a bere la loro osmička, ovvero una birra che parte da soli 8° plato, una sorta di micro lager. Ma c'è, tra altre, il loro vero cavallo di battaglia che è la Bubenečský Ležák, una vycepni 11° molto molto caratterizzata da un amaro erbaceo, chissà per quale spropositata quantità di Saaz inserito. Non male neppure la Bubenečský Třírmut, una lezak molto maltata a tripla decozione. Tutte birre ben fatte, molto molto piacevoli, senza alcuna patina di antico, anzi con una mano luppolata abbondante, ma senza disprezzare la struttura. Si avventurano molto anche su stili moderni, non mancano DDH Neipa, stout, perfino sour con moderni lieviti in grado di produrre un profilo lattico, decisamente bevibili.


Bel posticino, clientela molto giovane e a modo, sicuramente un bel luogo da avere sotto casa, una fortuna per chi abita da quelle parti.

Tornando in centro, c'era un luogo di cui ero davvero curioso, fin dalla sua apertura pochi anni fa. Si tratta di Loď, un birrificio costruito interamente su un battello ancorato sulla riva sinistra del fiume Moldova. Affascinante e folle il progetto, con l'impianto a vista appena si entra (perfino con i fermentatori a vasca aperta) e i posti a sedere su tutto il primo livello con bancone e spine. 


Scendendo le scale per il livello inferiore, invece, un grande freddo: il motivo è che ci sono moltissimi fermentatori tra altri tavoli e panche e qui avviene tutta la lagerizzazione, con visibili i tubi che convogliano liquido di raffreddamento ai fermentatori dalla banchina verso il battello, fermentatori molto tozzi in modo che possano entrare comodamente sotto coperta. 


Scenografico il posto, ma le birre non sembrano per niente da meno. Mi fa letteralmente sobbalzare dalla panca la tmavè Monarchie 13: pulizia eccezionale, erbaceo che fa capolino in aroma in compagnia di una moka molto fragrante, in bocca davvero gustosissima, senza disturbi di caramello ma con solo caffè e crosta di pane, molto secca e leggera come sensazioni boccali. Stupenda, superiore alla tmavè di U Tří růží, fino a quel momento mio riferimento assoluto, ora decisamente superato. 


Niente male neppure le altre, con la Bohemia in testa per via degli unici aromi di erbaceo e speziato, essendo stata prodotta con luppolo Saaz fresco e aggiunto in dry hopping, una spanna sopra le altre, ma nessuna è sembrata essere una cattiva birra nè difettata, gossip che sembrava circolare da parte di chi ci è stato durante gli scorsi anni. A quanto pare l'idea di un birrificio su un battello non era poi così male, tant'è che è stata recentemente copiata da Budweiser che ha ormeggiato il suo battello poche decine di metri solo al di là del ponte.

Sempre sentito parlare bene anche di Ossegg e meritava una visita senza dubbio. Il locale è tra i posti più strani, non in quanto ad eccessi ma per il minimale impatto che dà, da banco spine massiccio senza alcuna indicazione, fino alla sala principale, totalmente bianca e con pochi dettagli. Il birrificio si trova al piano inferiore, siamo nella zona alquanto centrale di Náměšti Míru, ben fornita dai mezzi. 


Alla spina campeggiano anche birre moderne come red ale e altro, ma l'attenzione è catturata da un paio. Prima di tutto dalla Philipp, una lezak da 12° molto molto maltata, dalle sensazioni boccali di pulizia estrema: è quello che fa l'acqua estremamente dolce su una birra chiara, fa scomparire qualsiasi ipotesi di sapidità e lancia una nitida sensazione di cereale, nel caso specifico accompagnata da una spiccata nota citrica che solo qualche birra come Spezial Lager e Keesman Herren Pils sa restituire. Il paragone è alto, lo so, ma lo scriverei ancora cento volte, confermando la natura sorprendente di questa birra: non è la luppolatura qui a restituire il citrico, bensì l'estrema delicatezza del malto chiaro usato come base.


Di alto livello anche la loro tmavè da 13° Balthasar, se non fosse per un problema abbastanza evidente, ovvero che dal colore sarebbe molto più etichettabile come polotmavè che come tmavè. Non importa,  è molto buona e trasmette molto delle sensazioni del cacao e della crosta di pane, con un leggero finale di caffè americano. Da Ossegg non si bevono birre in perfetta tradizione ceca, ma una loro versione più tendente a birre bavaresi, con estrema pulizia e poco luppolo rispetto ad altri innovatori cechi. Questo non toglie nulla alla loro bontà e ne fanno quasi un unicum in città, non necessario ma sicuramente che non dispiace affatto, rappresentando quasi una ben accetta variazione rispetto agli standard.

Ultimissima tappa è stato Kbelský, un brewpub moderno sulla scia di Hostivař, molto simile nell'impostazione, nel design di legno e cemento, negli spazi immensi a disposizione nella periferia della città. Qui siamo a ridosso di ben due aeroporti (uno militare, l'altro civile) e il tema del volo è quello ricorrente in tutte le grafiche e i nomi delle birre. 


Sembra buona anche qua la birra di bandiera, la Pilotů, la classica lezak 12° con Saaz e anche qua emerge chiaro come il sole il grande pregio di avere un'acqua leggerissima, che amplifica molto la leggerezza e la bevibilità di una birra, facendo risaltare solo il meglio dai malti.
Grandi spazi, birre buona anche qua...e forse la nostra perlustrazione di birre in giro per Praga può concludersi. 


Non prima di un saluto a U Zlatého Tygra, immancabile posto dove l'atmosfera è tutto e la birra, una Pilsner Urquell non filtrata ma pastorizzata, è un qualcosa di contorno, non essendo nemmeno lontanamente paragonabile a quanto di buono si è bevuto in giro

CONSCLUSIONI

Chi evita Praga con il presupposto che "tanto sono tutte piene di diacetile" sbaglia di grosso. Ma il peggio è solo di chi ne è convinto, perchè se si sa dove andare (e questo vale per molte mete birrarie), cercando e ricercando, anche prendendo qualche batosta in posti poco consigliabili, si beve non bene ma benissimo. Il diacetile è presente quasi mai nella birra ceca in sè, nei birrifici che ho visitato non ho mai avvertito diacetile neppure dalle birre a maturazione non ancora completata. Molto più probabile che si trovi nelle vie poco sanitizzate degli impianti di spillatura (pochi sanno che alcuni Pediococchi sono i responsabili di forti contaminazioni che lo producono). Non a caso, bevendo in una birreria qualsiasi, è molto facile che lo si senta.

Stesso discorso su un'altra fake news come quella che i lieviti cechi producano solfuri: è una informazione alquanto falsa perchè nè ci sono prove che evidenziano questa causalità, nè realmente mi pare di percepire solfuri nelle birre ceche bevute, neppure nelle poche di scarsa qualità che mi sono capitate e neppure mi è capitato in passato. Vedere (per caso) pubblicata sui social la lista dei criteri con cui giudicare al Brussels Beer Challenge 2022 una bohemian pils in questa maniera mi fa rabbrividire e mi fa riflettere sul fatto che pochissimi possono dire di conoscere la tradizione ceca. Questo atteggiamento ricco di luoghi comuni nell'ambito birrario è ciò che può portare alla deriva non tanto quel mondo ceco, che più o meno se ne infischia del craft mondiale, ma il nostro modo di intendere la birra, etichettandola senza neppure sforzandosi di esaminarla e comprenderla.


È un mondo che sta cambiando, ci sono ormai molti birrifici orientati verso il luppolo e non solo, ma è un normale corso degli eventi. Ma c'è anche tantissimo di tutto ciò che si trasmette sulla tradizione: luppoli innovativi sempre cechi (Kazbek, Harmonie, Agnus ma anche le altre varietà di Saaz, tra tutte quella che chiamano Žatecký polotmavý červeňák, ovvero Saaz rosso tardivo) sempre più sono utilizzati copiosamente in aroma o perfino in dry hopping nelle lager, prestandosi moltissimo nonostante non abbiano la sfacciata intensità di luppoli americani i pacifici. Ma questo ne costituisce un pregio su birre chiare di bassa gradazione, che non ne escono stravolte ma arricchite.
Ci sono davvero tante realtà promettenti in giro per Praga e la città resta una delle migliori mete birrarie per quello che riguarda la ricerca della tradizione: se ci si vuol fare un'idea chiara sulle tipicità delle lager ceche, non può che essere la miglior destinazione, con prezzi del boccale come ulteriore aspetto a favore.


Sono contentissimo di esserci tornato e in fondo sono felice anche che ci siano luoghi ancora poco battuti dal popolo del craft, spesso attento molto più al fragore delle novità che al silenzio delle tradizioni.

Na zdravì!

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